L'ultimo evento destabilizzante ha visto protagonista il presidente Laurent Gbagbo, al potere da 10 anni, gli ultimi 5 a mandato scaduto.
Il 12 febbraio, Gbagbo ha sciolto la Commissione elettorale centrale, accusando il suo presidente di aver voluto inserire 429.000 stranieri nelle liste degli aventi diritto al voto.
Con lo stesso decreto, il presidente ha sciolto il governo e chiesto al premier uscente Guillaume Soro, ex capo dei ribelli, di formare un nuovo esecutivo più snello del precedente e squisitamente tecnico, con l'unico compito di completare il processo elettorale.
Gbagbo ha dato una settimana a Soro per formare il nuovo governo, ma quest'ultimo ha dovuto chiedere altro tempo.
Lo scoglio maggiore resta l'ingresso delle forze che non si riconoscono nel precario asse presidente-premier.
La politica ivoriana è frammentata come la sua popolazione: non meno di 130 partiti per 56 gruppi etnici. Nel precedente esecutivo, l'unità nazionale era garantita dalla presenza di 8 ministri di Gbagbo, 8 di Soro, 5 per ognuno degli altri due partiti principali (gli eredi dell'ex partito unico Pdci), uno a testa per 4 compagini minori e 3 rap- presentanti della società civile.
Potrebbero restar fuori dal nuovo esecutivo i nostalgici dell'ex partito unico Pdci, del presidente e "padre della patria" Félix Houphouet-Boigny.
Essi contavano 10 ministri nel governo deposto, godono ancora di ampi consensi nel Paese e si oppongono all'asse Gbagbo-Soro con toni sempre più aspri. Nei giorni scorsi hanno moltiplicato le marce di protesta, definendo il doppio scioglimento attuato da Gbagbo un "col- po di Stato" e invitando i cittadini a "resistere in ogni modo alla dittatura"
Per entrare nel nuovo esecutivo, chiedono con forza il ripristino della Commissione elettorale, da loro presieduta.
Lo scioglimento della Commissione elettorale ha comportato un ennesimo slittamento delle elezioni presidenziali, già fissate per fine febbraio.
Il ritorno alle urne doveva avvenire nel 2005, alla scadenza del mandato del presidente Gbagbo.La persistente instabilità ha portato al rinvio del voto al 2008, con il benestare dell'Onu che, tuttora presente nel Paese, sovrintende al processo di ritorno alla normalità.
Nel 2008, il voto slitta da aprile a novembre. Quindi, causa lentezze nella compilazione delle liste e timori per la sicurezza, presidente e governo lo rinviano al novembre 2009, poi al 2010.