di Sandro Calice ALICE IN WONDERLAND
di Tim Burton, Usa 2010 (Walt Disney Pictures)
Mia Wasikowska, Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Anne Hathaway, Crispin Glover, Alan Rickman, Michael Sheen, Christopher Lee, Matt Lucas, Stephen Fry.
Carrol, Disney, Burton: c’erano tutti gli ingredienti per un grande film. Ma temiamo che il risultato non sia all’altezza delle aspettative.
Nel 1865 Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson, pubblicò “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, seguito nel 1871 da “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò”. Nel 1951 Walt Disney ne fece un film d’animazione. Burton parte da qui, e ci racconta di un’Alice ormai cresciuta, che a 19 anni ha solo vaghi ricordi e sogni delle sue avventure. Figlia di un padre sognatore e promessa sposa di un insopportabile idiota, nel giorno della sua attesa promessa di matrimonio Alice decide di seguire quello strano coniglio bianco che sembra vedere solo lei. Attraverso la sua tana precipiterà in un mondo fantastico, Sottomondo e non il Paese delle Meraviglie che ricordava, dove troverà tutti gli amici di un tempo: il Cappellaio Matto, Pinco Panco e Panco Pinco, lo Stregatto, il Brucaliffo e tanti altri. Ma Sottomondo è cambiato da quando Alice vi giunse da bambina. E lei stessa, come tutti i suoi abitanti, non è sicura di essere l’Alice che l’Oracolo annuncia. Si, perché è scritto che solo Alice sarà in grado di sconfiggere la petulante e maligna Regina Rosa e il suo mostruoso Ciciarampa e riconsegnare Sottomondo nelle mani dell’eterea e pacifica Regina Bianca. La guerra ha inizio, e insospettabili alleati potrebbero capovolgere le sorti di un’impresa apparentemente impossibile.
Se il vecchio Walt Disney fosse stato ancora in vita, probabilmente questo film sarebbe stato un’altra cosa. Tim Burton presta il suo estro a un progetto che sa più di industria che di magia, e perde per strada l’allegra e geniale follia sua e di Lewis Carrol. Dell’incantato, geniale, metaforico universo di Carroll restano i personaggi e poco altro. La mano (visionaria, gotica o barocca, fate voi) di Burton sembra frenata da esigenze di mercato, dal rendere questo film simile ai tanti fantasy che tanto piacciono al botteghino, sacrificando l’ironica irrazionalità, la non-linearità, l’inventiva tanto del racconto quanto del lavoro del regista. Un film insomma che può divertire senza impegnare troppo il pensiero, nemmeno quel tanto che si dovrebbe chiedere a una favola immortale.