Otto marzo, il lavoro delle donne


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Quando la maternità diventa un problema

Donne costrette a lasciare il lavoro donna_bambino_296

di Rita Piccolini

“L'otto marzo è diventata la festa delle vittime, delle oppresse, delle escluse. Celebriamo le vinte e non le vincitrici. Insomma insegniamo alle ragazzine a proteggersi dal mondo invece di spronarle a dominarlo". Lo ha dichiarato Elisabeth Badinter, la filosofa francese teorica del femminismo, in una recente intervista pubblicata in occasione della uscita del suo ultimo libro "Le conflit, la femme e la mère" , che ha già suscitato polemiche e dibattiti in Francia, perché affronta il tema della crisi di identità della donna contemporanea divisa tra la necessità di realizzarsi professionalmente e il desiderio di maternità.

"Gli obiettivi maschili sono omogenei: qualsiasi uomo punta ai soldi, al potere, allo status- continua la Badinter- mentre le donne hanno interessi e obiettivi conflittuali, che spesso non convergono. Ecco un freno formidabile al femminismo". Un freno soprattutto alla realizzazione di ogni donna,si potrebbe aggiungere, almeno finché ognuna si colpevolizzerà rispetto alla propria famiglia e ai propri figli, dovendo dedicare gran parte della giornata al lavoro. Ma lavorare non è solo essere autonome,ma vivere, non è una scelta, ma semplicemente la condizione della vita di tutti. La condizione del vivere e il prezzo della libertà contemporaneamente.

Quello dell’indipendenza economica sembra un obiettivo superato,una rivendicazione “vetero femminista”, ma la crisi economica lo ha riportato con prepotenza ribalta. Alla domanda se quella dell’assoluta indipendenza economica non sia una questione superata Elisabeth Badinter risponde:”Al contrario, va ribadita continuamente,abbiamo perfezionato i grandi discorsi sulla parità e una retorica inquietante sulla maternità,ma nessuna parla più di vera indipendenza economica. Non sproniamo pubblicamente le giovani a farne il principale obiettivo. Il risultato è una moltitudine di donne preparatissime che accettano lavori part-time, sottopagati. Si ‘precarizzano’ da sole con il più indifendibile degli argomenti: così posso occuparmi dei bambini. Conosco trentenni brillanti che decidono di avere un figlio e smettono di lavorare per tre anni:una follia!”.

E allora, l’otto marzo, è dal lavoro che bisogna partire per parlare delle donne. Qual è la condizione della donna che lavora? In che modo il mondo del lavoro accoglie le donne in un momento di grande crisi economica come quello attuale? Come le respinge? Perché molte donne ,a parità di incarico, guadagnano meno dei loro colleghi uomini? Alcuni dati: dall’annuario statistico italiano 2009 apprendiamo che la fecondità delle donne si attesta a 1,41 figli per donna (1,37 nel 2007). Prosegue il trend crescente,grazie soprattutto alla presenza di donne immigrate nel nostro Paese. Ma anche la disoccupazione femminile continua ad aumentare: gli ultimi dati Istat ci dicono che il numero di donne disoccupate è pari a 997.000 unità,.con un aumento del 9,8% rispetto a gennaio 2009 (+89.000 unità). Le donne inattive sono 9 milioni 667 mila. E cosa accade con i figli piccoli? Con i figli che hanno meno di un anno il tasso di attività sale dall’85,6 % al 96,6% per gli uomini , scende di dieci punti per le donne. Il dato emerge da un’indagine relativa a 134 imprese dell’Osservatorio sul “diversity management” della Dsa Bocconi.

Anche le donne manager vivono la contraddizione
Da un’indagine di Manageritalia si apprende che mentre nel resto d’Europa, Spagna e Grecia comprese, l’abbandono dopo la nascita di un figlio è una curva a U che risale dopo i primi tre anni di vita dei bambini, in Italia l’inversione non arriva: oltre un quarto delle donne occupate abbandona il lavoro dopo la maternità. E questo spiega anche perché il tasso di natalità nel nostro Paese ha avuto un ulteriore lieve peggioramento passando dall’1,42 del 2008 all’attuale 1,41. E’ proprio l’abbandono del posto di lavoro dopo la maternità a mantenere bassissimo il tasso di occupazione femminile: ”Oggi- leggiamo nel rapporto-se prima della nascita dei figli lavorano 59 donne su 100, dopo ne continuano a lavorare solo 43 con un tasso di abbandono pari al 27,1%. Una decisione sulla quale non incidono solo le esigenze di cura dei figli, aggravate dalla mancanza di servizi sociali adeguati, ma spesso anche il fatto che il rientro in azienda dopo la maternità costituisce un momento particolarmente critico del rapporto impresa-dipendente, con il rischio di un’eventuale mobbizzazione , se non una definitiva induzione a lasciare il lavoro”. La cronaca ci racconta che questo accade non solo alle donne socialmente più deboli, ma anche a quelle di elevato grado di istruzione e con impegni professionali di tipo manageriale.

Qualche dato: la probabilità di uscire dal mercato dal lavoro ,si legge nel rapporto,aumenta significativamente per le madri sotto i 24 anni (72%) e per le donne meno istruite (68% per le donne che si sono fermate alla licenza media contro il 24,5% delle laureate ) e si triplica per le donne che al momento del concepimento lavoravano a tempo determinato. Nel settore pubblico il rischio abbandono scende al 25% .Nel settore privato la probabilità è maggiore per le operaie (37,6%) e scende al 12,9% per chi ha un ruolo manageriale. Nel rapporto si evidenzia tuttavia che, anche se le donne manager tendono a rimanere al loro posto dopo la nascita del primo o del secondo figlio, abbandonano comunque le aspirazioni di carriera. I motivi? Anche in questo caso parlano i numeri: per il 59% la causa è nella ”perdita di influenza e di ruolo”, per il 30% a “difficoltà connesse a ristrutturazione organizzativa”, per il 27% a “ristagno nel trattamento economico” e per il 23% al mobbing.