Il 20 marzo 1989 a locri veniva ucciso Vincenzo Grasso. Commerciante, aveva denunciato le richieste di pizzo. Un delitto di mafia per il quale nessuno ha mai pagato: il processo contro ignoti è stato archiviato. Nel marzo del ’97, alla sua memoria, il presidente della Repubblica ha riconosciuto la Medaglia al valore civile. Parla, oggi, la figlia Stefania, responsabile del settore Libera memoria
Ventuno anni fa, suo padre veniva barbaramente ucciso sul portone di casa per avere denunciato le richieste di pizzo. Anche oggi si muore per mano della mafia. Cosa e’ cambiato in tutti questi anni?
Purtroppo ancora oggi muoiono persone innocenti, qui, in zone dove è forte il controllo del territorio delle mafie, ma anche in altre parti d’italia. Questo conferma che le cose si sono aggravate. Se si pensa che si muore per mafia anche fuori dell’italia e in tante altre parti del mondo non si può essere ottimisti.
Siamo alla vigilia della giornata per il ricordo delle vittime e dell’impegno promossa da libera e avviso pubblico. Che valore attribuisce alla “memoria”?
L’iniziativa che ormai svolgiamo da 15 anni è una giornata in cui i familiari delle vittime si ritrovano per fare memoria, perché purtroppo l’elenco, che è lunghissimo, è fatto di persone comuni che hanno perso la loro vita credendo nei loro valori o perché si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Persone comuni che non vengono ricordate in modo eclatante, ma che non devono essere dimenticate. Sono state di esempio e non devono vivere solo nel ricordo dei loro familiari, devono diventare patrimonio e memoria collettivo. La seconda ragione è l’impegno. Vanno ricordate e portate avanti le loro idee, altrimenti sarebbe come ucciderli una seconda volta.. Con questa volontà, che cammina anche sulle gambe di tanti ragazzi, in questa Giornata dedicata alle vittime parte forte il grido che queste cose non debbano succedere più.
Nel suo caso, come in quello di molti altri familiari di vittime innocenti, il dolore si è trasformato nell’impegno della testimonianza. Lei ha scelto di restare in calabria, dove la ‘ndrangheta è potente e resta un fenomeno ancora poco conosciuto. Quali sono le difficoltà e gli incoraggiamenti che incontra nel suo impegno?
Per me è un obbligo morale portare avanti i valori in cui mi ha educato mio padre. Purtroppo restare qui non è facile, perché viviamo in contesti in cui libertà e diritti non si vedono e non è semplice. L’incoraggiamento e la speranza viene dal futuro, perché non c’è cosa peggiore che dovere abbandonare la propria terra. Se io non sperassi in un futuro migliore, non continuerei a restare in questo posto.
Che vuol dire per lei giustizia?
E’ un valore, ha un significato grandissimo. Non ho avuto, però, il piacere di incontrarla nella mia vita , come è capitato a tanti altri.. Per l’omicidio di mio padre non è stata fatta giustizia e questo è un grande rammarico, non tanto per me, ma per la società civile. Quando per un reato non viene fatta giustizia e nessuno paga, non si può parlare di stato democratico e qui, che nessuno paghi, succede troppo spesso.
Molti familiari denunciano che le istituzioni li percepiscono spesso come “problemi da risolvere”. Sa che cosa intendono dire?
Devo essere sincera. Sono sempre delle battaglie quando dobbiamo conquistare qualche cosa che in un certo senso dovrebbe essere un diritto. Ci sono persone più fortunate, io mi ritengo tale. Sono stata educata, ho studiato, ho potuto farlo, ma ci sono altri familiari che non riescono a tirar fuori le richieste di quello che è dovuto e su questo c’è ancora da lavorare molto. Non da ultimo il fatto che il nostro stato continua a fare differenze tra vittime, del terrorismo o della criminalità organizzata. Io ritengo che siamo tutti vittime della violenza e non ci possono essere differenze. Lo stato fa ancora differenza tra periodi temporali diversi: se uno è stato ucciso dalla mafia prima del 1960 non è riconosciuto come vittima e non ha quello status che con diritto hanno tutti quelli che hanno subito queste cose. D’altro lato lo stato non è stato presente quando sono stati uccisi i nostri familiari, perlomeno dovrebbe esserlo dopo.. Voglio ricordare che tutte le stragi di sindacalisti, da portella della ginestra in poi, non sono riconosciute a livello di stragi di mafia e questo è una cosa gravissima in un paese democratico. Per non parlare poi di tante altre differenze legate a interpretazioni. E’ sempre una battaglia, sempre una lotta. Troppo spesso lo stato non è dalla parte di chi è vittima, facilmente si preoccupa di chi commette i reati, garantendogli il patrocinio gratuito. Bisognerebbe fare dei passi avanti. Certo alcuni sono stati fatti, ma c’è ancora molta strada da fare. Anche alla luce dell’impegno che tutti i giorni mettiamo per garantire a questa società un livello civile più alto e che facciamo spendendo le nostre ferie, il nostro tempo libero, ad esempio quando andiamo a parlare nelle scuole. Lo stato dovrebbe riconoscere il tempo che noi dedichiamo a questa causa, almeno con permessi. E questo riconoscimento avrebbe anche un significato forte. G. Lang