di Sandro CaliceGAMER
di Mark Neveldine e Brian Taylor. Usa 2009 (Moviemax)
Gerard Butler, Michael C. Hall, Alison Lohman, John Leguizamo, Zoe Bell, Terry Crews, Kyra Sedgwick, Amber Valletta, Logan Lerman, Ludacris, Johnny Whitworth, Milo Ventimiglia.
Una volta i film di fantascienza prefiguravano futuri di là da venire. Oggi è tutto dietro l’angolo e “Gamer” ci fa vedere dove potrebbe portarci molto presto la degenerazione di reality show e videogames.
Siamo nel 2034. Ken Castle ha costruito il suo impero su un tipo particolare di giochi online, seguiti da miliardi di persone nel mondo: i protagonisti sono esseri umani che grazie a un innesto cerebrale vengono controllati direttamente dai giocatori. Prima è stata la volta di Society, in cui al massimo vengono messe in atto perversioni sessuali. Poi è venuto Slayers, in cui detenuti condannati a morte vengono fatti combattere all’ultimo sangue. Chi sopravvive per 30 battaglie guadagna la libertà. Nessuno è mai arrivato oltre la decima. Ma ora tutto il mondo impazzisce per Kable (Butler), ingiustamente imprigionato, che è sopravvissuto a 29 round grazie anche all’abilità del suo giocatore, Simon (Lerman). L’ultima, maledetta battaglia e sarà libero. Sempre che tutti rispettino le regole.
Neveldine e Taylor (“Crank”) applicano codici e linguaggi del reality e del videogame ai temi del Grande Fratello e della violenza estrema esibita in tv. E l’intuizione non era niente male. I registi, tra l’altro, provano a girare con stili diversi a seconda dell’ambiente, virtuale o reale, in cui il film ci porta: da quello pop quando siamo “all’interno” di Society a quello da tipico “sparatutto” in prima persona, quando entriamo in Slayers. Ma mentre l’adrenalina scorre e la sensazione di stare all’interno del gioco è resa benissimo, i personaggi e la storia restano un po’ strozzati nello spazio asfittico del gioco stesso, proprio come se stessimo giocando a uno di quei vecchi videogames dove i livelli si susseguono fino al mostro finale senza troppa attenzione alla psicologia dei personaggi e alla raffinatezza della sceneggiatura. Un esperimento riuscito a metà.