Sono almeno 116 le cosiddette “buone pratiche”, rese possibile dalla legge 109/96 che stabilisce l’assegnazione a fini sociali e istituzionali dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Si tratta delle realtà nate con l’uso dei patrimoni sottratti ai boss mafiosi in 11 regioni italiane.
La mappa di queste esperienze è contenuta in una sorta di “viaggio” messo a punto dall’Agenzia per le Onlus e Libera informazione e raccolto nel volume “Beni confiscati alle mafie: il potere dei segni”. Oltre alla ricerca con i dati relativi alla tipologia dei soggetti affidatari, al tipo di bene riutilizzato, alle cause che ostacolano l’effettivo utilizzo, nello studio troviamo i simboli del potere mafioso, i terreni, le ville, i palazzi, gli alberghi, i capannoni, i fabbricati frutto di violenze, racket, estorsioni, aggressioni, inquinamento dell’economia, restituiti alla cittadinanza, alla collettività.
Il panorama delle “buone pratiche” è estremamente vario. La maggior parte, circa il 40% dei beni sono stati affidati alla gestione di associazioni che li usano principalmente, per il 37%, per fini rivolti alla cittadinanza e a persone con disabilità psico-fisiche, per il 21%. Quanto al territorio, il maggiore numero di beni confiscati e assegnati è in Sicilia e a seguire in Campania e in Calabria.. Per molti progetti, il parto è stato lungo, alcune esperienze sono state realizzate a distanza di oltre 10 anni dal momento del sequestro, per problemi legali, proprietà divise in quote, ipoteche, per mancanza di risorse, difficoltà burocratiche. Di certo, quei progetti che si sono tradotti in realtà stanno producendo lavoro, pratiche di legalità, cultura, solidarietà..
Ed ecco allora che un’area di 13 mila mq, sequestrata alla Banda della Magliana, a Roma diventa la “collina della pace”, un progetto non ancora del tutto ultimato, che prevede un parco pubblico, una biblioteca, un centro polivalente. Attingendo sempre all’enorme patrimonio raccolto illecitamente dalla banda romana, l’ex Villa Osio, a ridosso delle Mura Aureliane, nella capitale, è diventata la Casa del Jazz, che ospita concerti, seminari, proiezioni di video. In Campania, alla periferia di Pomigliano d’Arco, Vialla Siani confiscata a un boss della camorra è stata trasformata nella sede del Comando dei vigili urbani del Comune. E per ricordare Don Peppe Diana, il sacerdote assassinato dalla camorra nel ’94, a Castel Volturno, nel Casertano, nasce la “Cooperativa Le Terre di Don Peppe Diana- Libera Terra”, per produrre “la mozzarella della legalità”, formaggi, ricotta.. Un genere di prodotti che viene venduto nella “Bottega dei saperi e dei sapori della legalità”, sorta a Palermo, in un negozio confiscato a un boss di Brancaccio. Un luogo che oltre a richiamare gli appassionati dell’agricoltura biologica è anche punto di ritrovo per quanti vogliono impegnarsi ad affermare una cultura dei diritti contro la violenza e la sopraffazione. E che dire dell’esperienza delle Cooperative Pio La Torre e Placido Rizzotto, nell’area dell’Alto Belice corleonese, e della Cooperativa Valle del Marro, nella piana di Gioia Tauro, che danno lavoro a persone svantaggiate, producono grano, vino e altri frutti della terra con attenzione rivolta all’ambiente, e che più volte sono state oggetto di intimidazioni, di danneggiamenti e incendi da parte della mafia. Unica nel genere, l’esperienza della Cooperativa Calcestruzzi Ericina Libera, formata dai lavoratori dell’azienda trapanese confiscata alla mafia nel 2000, cui verrà assegnata non appena definitivo il decreto di destinazione. Un’esperienza cui ha dato un forte sostegno l’ex prefetto di Trapani Fulvio Sodano. Alle difficoltà dell’azienda di proseguire l’attività e di tornare nuovamente nelle mani mafiose, si è risposto, anche con l’aiuto di Libera, con il progetto di integrare alle attività tradizionali quelle del riciclaggio degli inerti. Un’attività quindi più ampia, resa possibile poi dall’inserimento di un’altra azienda in regime di amministrazione giudiziaria nella compagine societaria.