30 anni fa fu ucciso Walter Tobagi


Stampa

'La morte di un cronista libero'

A Televideo il ricordo del direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli. L'intervista a Benedetta Tobagi, autrice del libro 'Come mi batte forte il tuo cuore'

"In una mattina di pioggia del 28 maggio 1980, Walter Tobagi veniva assassinato dai terroristi. Ma le sue idee non sono state eliminate. La sua eredità morale e culturale è rimasta integra e viva. Intatta la testimonianza professionale di un cronista libero; fecondo il lascito di un pensatore riformista. Lui per primo guardò senza preconcetti al fenomeno della violenza di sinistra, alle trasformazioni della società di quel tempo. Sono passati trent'anni, tutto è cambiato, ma le parole di Walter conservano una forza straordinaria".

Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera 





di Emanuela Gialli

Walter Tobagi nasce a Spoleto nel 1947. A 8 anni si trasferì con la famiglia a Bresso, vicino a Milano (il padre era un ferroviere). La sua carriera di giornalista cominciò al ginnasio, come redattore de La Zanzara, il famoso giornale del Liceo Parini di Milano.
Dopo il liceo, Tobagi entrò giovanissimo a L’Avanti, ma vi rimase solo pochi mesi, per passare poi al quotidiano della Cei L’Avvenire. Il direttore, Leonardo Valente, disse di lui: “Quando lo assunsi mi accorsi di essere davanti a un ragazzo preparatissimo, acuto e leale. Affrontava qualsiasi argomento con la pacatezza del ragionatore. Della contestazione condivideva i presupposti, ma respingeva le intemperanze”.
Dopo il praticantato in queste due prestigiose testate, l’approdo al Corriere della Sera. Suoi alcuni storici articoli. In Vivere e morire da giudice a Milano Tobagi raccontò la storia del giudice Emilio Alessandrini, 39 anni, sostituto procuratore della Repubblica, assassinato in un agguato da Prima Linea. Si era distinto nelle indagini sui gruppi estremisti di destra e, successivamente, su quelli terroristi di sinistra. Scrisse Tobagi: “Alessandrini rappresentava quella fascia di giudici progressisti ma intransigenti, né falchi chiacchieroni né colombe arrendevoli”.

La sera prima di essere assassinato, Walter Tobagi presiedeva un incontro al Circolo della Stampa di Milano. Si discuteva della libertà di stampa, delle responsabilità del giornalista di fronte all’offensiva del terrorismo. A un certo punto del dibattito disse: “Chissà a chi toccherà la prossima volta”.
Alle 11 di mattina, del 28 maggio 1980, Walter Tobagi fu ucciso con cinque colpi di pistola. Il delitto fu rivendicato dalla Brigata XXVIII marzo. Ne facevano parte sei ragazzi della borghesia milanese: Marco Barbone, 21 anni all’epoca dell’omicidio, Mario Marano, 29, Paolo Morandini, 20, Manfredi De Stefano, 23, Daniele Laus, 22 anni e Francesco Giordano, 27.

La sentenza di primo grado è del 28 novembre 1983, quella di appello del 7 ottobre 1985. Tutti responsabili dell’attentato: Barbone e Marano furono gli esecutori materiali dell’omicidio. Barbone da subito collaborò con i Carabinieri e i magistrati. Anche Morandini e Marano divennero nel corso degli anni collaboratori di giustizia. Barbone ha scontato complessivamente 3 anni e 2 mesi di carcere. A Marano nel gennaio 1986 furono concessi gli arresti domiciliari. De Stefano, condannato in primo grado a 28 anni e 8 mesi, morì in carcere nel 1984. Laus si vide ridotta la pena in appello a 16 anni , per "dissociazione manifesta e ammissione delle proprie responsabilità".  Dal dicembre 1985 usufruì della libertà provvisoria. Giordano espresse autocritica per le sue esperienze di terrorista, ma non si pentì. Condannato a 30 anni e 8 mesi, si vide la pena ridotta a 21 anni in appello. Tutte le condanne sono state confermate in Cassazione nell’ottobre del 1986.

Walter Tobagi ha lasciato la moglie, Maristella, e due figli, Luca e Benedetta. “’A non fare il cronista d’assalto si rischia meno’”. Una frase che un collega rivolse a Walter Tobagi e riportata nel primo libro della figlia, Benedetta, “Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre”. A 30 anni dall’assassinio, il 28 maggio 1980, resta forte il suo esempio, raccontato oggi da quella bambina che a 3 anni perse il padre e non sa ancora perché.

Leggiamo dal suo libro: “A Milano, dopo l’intensa fioritura di entusiasmo e partecipazione politica del Sessantotto, si comincia ben presto a respirare un’atmosfera gravida di inquietudine e minacce. Papà seguì tutto, dall’inizio. Nella sua produzione abbondano le analisi, invece degli scoop, non si affida alle intuizioni, non cede alle passioni. Preciso, cauto, documentato, si definiva ‘l’opposto del tifoso’”. Tobagi fu colpito a morte sotto casa. Scrive ancora Benedetta: “Quella mattina i killer hanno ucciso anche la mia innocenza”.

Parla Benedetta Tobagi, autrice di 'Come mi batte forte il tuo cuore'
"Cosa devo dire di più di quello che ho già scritto nel libro?"

Nel suo libro riporta quanto dichiarato dall’allora direttore del Corriere della Sera, Franco Di Bella, nella presentazione di Corriere Segreto, nel novembre del 1982: ’Sappiamo chi sono gli esecutori materiali, ma non i mandanti. Per il bene del giornalismo italiano, mi auguro che i mandanti non vengano mai scoperti: avremmo tragiche sorprese’. Può chiarire meglio? 
"Ho cercato di costruire le radici sindacali, che da una parte gli hanno rovinato la vita. Ma sono questioni che non hanno niente a vedere con il terrorismo".

La stagione del terrorismo si è chiusa o c'è il rischio che torni? E sotto quale forma?
"L'Italia di oggi è totalmente diversa da quella degli anni '70. Ci sono recrudescenze, ma sono fenomeni di tipo individuale. Ci troviamo in un paese fondamentalmente diverso".

Il terrorismo brigatista e lo stragismo mafioso hanno qualcosa in comune?
"Segnalo un bellissimo libro di Giancarlo Caselli, 'Le due guerre', in cui si tenta un'analisi del perché l'Italia è venuta a capo del trerrorismo di sinistra e invece non ha ancora sconfitto le mafie. A me sembra più interessante studiare alcune analogie tra lo stragismo neofascista, della strategia della tensione, e lo stragismo mafioso del 92-93. Quella è una pagina problematica, che sarebbe molto interessante mettersi a studiare". 

Così chiude il libro: “Aldo Moro ha scritto a sua figlia Agnese, ‘ora è probabile che noi siamo lontani o vicini in un altro modo’: ho imparato a sentire che mi sei vicino, tanto, sempre, in un altro modo. Il mio stupore è immenso, e così la gratitudine. Papà, questo libro è la mia rosa per te. Per te, come tutte le cose importanti. Con tutto il cuore”.

Il 20 aprile 1980 il Corriere della Sera pubblicava un articolo di Tobagi, in cui analizzava il profilo dei brigatisti. Il titolo: “Non sono samurai invincibili”. Scriveva: “Le lotte sindacali più dure sono servite agli arruolatori delle Br come banco di prova e di selezione. Il sindacato dovrà tenerne conto. Il terrorismo è l’alleato oggettivamente più subdolo del padronato e se non viene battuto può ricacciare indietro di decenni la forza del movimento operaio. La sconfitta politica passa attraverso scelte coraggiose: è la famosa risaia da prosciugare“.