di Sandro CaliceIL SEGRETO DEI SUOI OCCHI
di Juan José Campanella. Spagna, Argentina 2009 (Lucky Red)
Ricardo Darín, Soledad Villamil, Pablo Rago, Javier Godino, Guillermo Francella, José Luis Gioia, Carla Quevedo, Rudy Romano.
L’atmosfera è multiforme, ma questo film è soprattutto una storia (anzi, due storie) d’amore, di amore sospeso, frustrato, ma anche interrotto, morboso, in entrambi i casi fatale. Per dirla col regista: ”Il genere noir è solo il vassoio dove la pietanza principale viene servita”.
Benjamìn Espòsito (Darìn) è un funzionario del tribunale penale di Buenos Aires in pensione. C’è un caso di omicidio che è rimasto sospeso e che ha cambiato la sua vita professionale e personale. Una bellissima donna brutalmente violentata e uccisa, il marito con la vita spezzata, l’indagine che scopre e arresta l’assassino, il potere che invece decide di liberarlo per i suoi sordidi scopi. Per fare pace col passato, Espòsito decide di scrivere un romanzo, di raccontare quella storia. Ma non riesce ad andare oltre la prima pagina, e capisce che quella storia non è la cosa rimasta in sospeso più importante della sua vita. Allora - sono passati 25 anni - torna nella sua città, dove c’è Irene (Villamil), suo capo all’epoca e attuale dirigente del tribunale, la donna che non ha mai avuto il coraggio di amare, dove non c’è più Sandoval (Francella), amico e collega triste, ironico e geniale. E dove c’è Ricardo (Rago), il marito della donna uccisa, che da allora vive un’altra vita. Espòsito capisce che ha ancora troppo da capire, che deve vivere di nuovo prima di poter finalmente scrivere il suo futuro.
“Il segreto dei suoi occhi”, tratto dal romanzo omonimo di Eduardo Sacheri, che firma anche la sceneggiatura, ha vinto l’Oscar 2010 per il miglior film straniero, battendo, tra gli altri, “Il nastro bianco” di Haneke. Juan Josè Campanella è stato già candidato agli Oscar nel 2001 con “Il figlio della sposa”, ed negli ultimi anni ha lavorato molto a serie televisive come “Law & Order” e “Dr.House”. Il film è bello, anche se non un capolavoro. C’è innanzitutto la grande capacità del regista di mescolare in modo non artificioso diversi generi: dal “vassoio” del noir, alla commedia pura, alla storia d’amore, alla storia politica. Tutti tratteggiati, che a turno dirigono il racconto, a volte impercettibili ma per questo più potenti (per raccontare l’orrore della dittatura militare in Argentina tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 basta una scena in un ascensore!). Con la telecamera che vaga, gira, si perde nelle folle e finisce sempre per trovare un senso e una chiusura negli occhi dei personaggi, che raccontano più delle parole e delle immagini stesse. C’è solo la sensazione che a tratti la narrazione venga dilatata un po’, come se Campanella avesse la mano “viziata” dalla serialità dei suoi ultimi lavori televisivi. Ma è una debolezza trascurabile.