Moto, Rockers e cafe


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Che c'entrano i motori con il caffè?

Classiche racer inglesi dagli Anni '50 f

di Gian Franco Laparelli

Il termine Cafe Racer identifica una particolare tipologia di moto nata in Inghilterra all’inizio degli Anni ’60 che diventarono subito un vero e proprio fenomeno di costume che si estenderà prima in Germania e più tardi in Italia. Poi, man mano, nel resto del mondo. Ma perché si chiamano Cafe Racer? E che significa Cafe Racer?. Nessuno conosce una risposta univoca, esatta, anche se il termine è da diverso tempo sulla bocca di numerosissimi motociclisti appassionati del genere. Eppoi, che c’entra il caffè con le motociclette?

Tutto sembra sia nato in Inghilterra, intorno al leggendario Ace Cafe di Londra, un bar-ristorante, nella periferia Nord-Est della capitale britannica. Un posto definito da molti, quelli che lo hanno conosciuto e frequentato, pessimo, dove di solito si fermavano per una sosta o un pasto i camionisti inglesi diretti a Nord. Un posto l’Ace Cafe, che i Rockers, motociclisti dalle pessime abitudini, solitamente vestiti di pelle nera, avevano eletto a luogo di ritrovo. Questi tipi, tra l’altro, possedevano delle maximoto, specie le inglesi di allora: Bsa, Triumph o Norton. Le cattive abitudini dei Rockers non finivano però qui, ne avevano anche altre come quella di sfidarsi in pericolose, velocissime gare in moto negli spazi intorno all’Ace Cafe. Altra “pessima” abitudine dei Rockers: molti di loro, di certo i più spericolati, si esibivano in tali gare con pericolose realizzazioni artigianali, delle moto che erano un ‘patchwork’ di pezzi di vari modelli e marche di moto.
Tra tante che si vedevano in giro, la più famosa, quella rimasta maggiormente nella mente dei cultori del genere e delle quali esistono ancora alcuni esemplari ben funzionanti, è la ‘TriTon’. Era realizzata con un motore derivato dalla Triumph Bonneville montato su un telaio Norton (di solito il Featherbed, il "letto di piume"). Da qui il termine Triton, composto dalle prime tre lettere di TRIumph, più le ultime tre di NorTON. Tutte quelle moto, più o meno artigianali, alleggerite e truccate per le gare clandestine all’Ace Cafe, erano le "Cafe Racer". E’ questa l’etimologia più probabile per un nome che è diventato un fenomeno sociale, una malattia che ha colpito, e continua a colpire ancora a più di cinquant’anni di distanza, numerosi appassionati di moto in tutto il Pianeta.

Ma che avevano di particolare?
Tutte erano caratterizzate da una serie di modifiche estetiche, per valorizzare al massimo l'idea della velocità. I manubri di serie, spesso alti, erano sostituiti da bassi semimanubri in stile moto da corsa. La sella originale, larga e biposto, tolta per lasciar spazio ad una monoposto con codino. Le elaborazioni tecniche erano semplici e riguardavano il carburatore, spesso sostituito da modelli maggiorati e dotati di cornetti o da filtri dell’aria più performanti. Altre modiche riguardavano spesso lo scarico il cui terminale era sostituito dai ‘tromboncini’ oppure dai ‘cono-controcono’ di più in stile racing e la rimozione del silenziatore. Un’altra variante, mutuata sempre dal mondo delle competizioni, interessava collettori e tubi di scarico, avvolti da spesse garze per evitare che un eccessivo calore arrivasse al pilota. Anche la ciclistica aveva le sue modifiche: gli ammortizzatori erano sostituiti da modelli più corti e rigidi.
C’è da dire però che, sebbene anche allora le aziende specializzate avessero già dei forniti cataloghi di componentistica specifica, la maggior parte delle cafe racer era realizzata in modo artigianale.

Cafe Racer anche oggi?
Anche se dei leggendari marchi inglesi di quegli anni è rimasto ben poco (da un po’ tempo è rinata Triumph, mentre Norton sembra stia finalmente risorgendo dalle sue ceneri con un paio di modelli ipertech, dal costo ancora proibitivo, la cultura delle cafe racer continua ad allargarsi a macchia d’olio.
Oggi le cose sono un po’ cambiate, ognuno può aver la sua cafe racer, comprarla nuova o anche costruirla da sé, partendo dai classici inglesi Anni 50, dalle post classiche di trenta o quaranta anni fa, oppure da qualcosa di più moderno e affidabile. Delle classiche inglesi abbiamo già detto: sono ormai delle rarità e certamente costose. Beato chi ne possiede una.
Le post-classiche sono rappresentate dalla produzione giapponese anni Settanta e Ottanta: si tratta di modelli storici che tuttora non danno problemi e che fino a poco tempo fa si portavano via per poche centinaia di euro. Oggi sono molto ricercate e perciò hanno raggiunto quotazioni alte, a volte proibitive e riservate ai più abbienti. Se ne trovano in tutte le condizioni e spesso si realizzano anche buoni affari, altre volte si rischia di portare a casa un cumulo di ruggine e polvere, sì ma con targa e libretto. Così pulite, perfette meccanicamente, le jap sono esenti da vibrazioni, pronte ad avviarsi, esemplari per la longevità di materiali e finiture che le compongono. La relativa facilità nel reperire pezzi di ricambio, vitali quelli meccanici, meno importanti allo scopo quelli relativi alla livrea (carrozzeria) perché tanto la si deve sostituire o modificare, le fa considerare basi ideali per delle ottime Cafe. Fra le più ricercate, Honda Four di tutte le cilindrate o le più vecchie bicilindriche di 400 e 500cc. Le Kawasaki tre cilindri due tempi, le 400cc 2 cilindri monoalbero e le 4 cilindri bialbero. Appetibili anche le più grandi Z650, 900 e 1000: per queste però, avendo un valore speciale nel mercato d’epoca, è difficile che qualcuno le ‘smantelli’ per farne delle cafe. Sono ricercati anche i vecchi Guzzi e le Bmw boxer a due cilindri, le Laverda, 650 e 750 e le Ducati. Tutte, dispongono di un pubblico attento ed affezionato. Chi cerca qualcosa di più moderno e affidabile, può partire da esemplari quali le Honda Hornet 600 e 900, le Kawasaki Z1000 III serie, vari modelli naked di Yamaha o Suzuki. La scelta è varia…
Anche il mercato del nuovo offre l’imbarazzo della scelta, specie ora con il ritorno alle naked, le moto senza carenatura. Gli esempi non mancano, basta andare da un concessionario o ‘sfogliare’ i listini presenti su internet. Si tratta spesso di modelli dotati di motori dalla sovrabbondante potenza ai bassi regimi. Ma tanto, per fare una Cafe, non è importante la potenza massima e nemmeno la velocità assoluta. E spesso quelli che una volta erano considerati ‘difetti’ come vibrazioni e scarichi rumorosi, sono oggi pregi perché rendono viva una moto Anche se il Codice della strada non permette la circolazione di moto ‘fai da te’, tuttavia ancora oggi si realizza qualche esemplare che richiama alla mente le Triton di 50 anni fa, solo un tantino meno esasperate.
In ogni caso, ferma restando l’originalità a tutti i costi (intesa come unicità del pezzo finale), per tutti i cultori e realizzatori in proprio, le parole d’ordine sono: eleganza, buon gusto e sportività. Ciascun motociclista poi sceglie come entrare nel mondo delle cafe, in base alle possibilità economiche e della disponibilità, sia della moto base ricercata, sia dei pezzi necessari a confezionare una cafe, sia, infine della sensibilità degli artigiani a realizzare lavorazioni tagliate su misura per ciascun appassionato. Insomma si cerca di fuggire il più possibile da ogni tipo di omologazione: di ogni Cafe Racer, ce n’è una sola. Forse è un po’ complicato a spiegarsi, ma semplice da capire, una volta che ci si è avviati sulla strada delle Cafe.

Perché una Cafe Racer?
Sono sicuramente il fascino dell’antico e la leggenda ad instillare nel popolo delle due ruote classiche -così come accade per l’epoca- la malattia per le cafe racer. Anzi, a volte se non spesso, la Cafe è la conseguenza di un fallito tentativo, oppure di un ripensamento, durante il restauro di una epoca.

Il tipo, che tipo è?
Ad essere contagiati -anche in questo frangente- sono soltanto i motociclisti veri, quelli con solida esperienza di guida e appagati sotto ogni aspetto o velleità che il mezzo può regalare. Diciamo comunque: maschio, sportivo, sui 45 - 50 anni ed oltre, ma giovane nel cervello e nell’animo, l’eterno ragazzo, ma sicuro di sé, ed esperto, molto esperto, nella guida in ogni condizione atmosferica e su ogni tracciato, sia in casa che fuori. E fondamentalmente, un profondo conoscitore di ogni singola parte della propria moto.
Ci riesce difficile immaginare uno che fino a ieri viaggiava in scooter oppure in automobile -magari pure con l’autista- che poi, di colpo, si fa la cafe. Non ci si crede. Ecco come va. Solitamente si inizia con l’infarto che ti coglie quando vedi una cafe racer in una foto sul web, oppure di domenica sfrecciare elegante lungo un’assolata e sinuosa strada di campagna tutte curve, salite e discese. Più di rado se ne vedono parcheggiate fuori di un bar. Non siamo mica a Londra, e nemmeno ad Amburgo, Parigi, Tokyo o Sydney, New York o San Francisco. Certo però che bisogna essere predisposti, questo non è il tipo di infarto che coglie tutti indistintamente. Sopravvissuti all’attacco ma ancora convalescenti, si passerà un numero di notti insonni (numero direttamente proporzionale alla realizzazione che si ha in mente) a sognare i particolari salienti di quella che sarà la ‘nostra’ cafe. Segue la decisione (fatale): “La faccio anch’io”.

E quindi via alle consultazioni frenetiche, anche su internet, di cataloghi di ricambi e componenti speciali offerti da fornitori che vendono on line e che facilitano (o invogliano l’acquisto) offrendo anche le ‘famigerate’ ‘wish list’, ossia le liste degli oggetti più desiderati. Insomma ci si fa il preventivo, comodamente seduti a casa: è un vero paradiso, per chi si accinge alla creazione della propria cafe racer e vuole ragionare sul budget e il livello di spesa di cui, di volta in volta, potrà disporre. Una soluzione utile per diluire gli acquisti, a seconda dello stato di avanzamento dei lavori.
Una volta raggiunto (spesso troppo presto) il budget si ordina quanto necessario: parti in alluminio, scarichi a tromboncino o a collo di bottiglia, in ogni caso ‘old fashion’, cromati o non; parafanghi in alluminio, freni racing, pedane arretrate, mezzi-manubri bassi, sella monoposto, serbatoio old style. Da non dimenticare le tabelle ovali porta-numero… Poi le frecce, che devono essere ‘limited edition’ sì, ma verniciate in nero o cromate? Oppure in alluminio lucidato o spazzolato? No, anodizzato! E i fari? Cromati. Il fanale posteriore (lo stop) in una forma non ancora inventata E via discorrendo. Sono tutti ingredienti per una sana realizzazione Cafe.
Poi inizia il lavoro in cantina o nel box: spesso in compagnia di fidati ed esperti complici, si smonta e rimonta e, a forza di tagliare, allungare, saldare, accorciare e rifinire, ci si trova con le mani sporche di grasso e vernici. Infine, una volta scelti il colore, la posizione delle scritte personalizzate e delle strisce a quadretti bianco e nero in stile ‘racing flag’ si va dal carrozziere per la verniciatura. Poi, una volta tutto finito e a posto, lucidato e collaudato (almeno si spera), allora tutti al caffè con gli amici, a parlare di moto fino a tarda sera.
P.S. - C’è anche chi a furia di smonta e rimonta, si lascia prendere la mano e si avvia verso un punto di non ritorno: si taglia il telaio, si cambia la forcella intera, si modifica il motore e si mischiano pezzi di altre moto di età e tecnologie differenti. In questo (ultimo) caso non possono non tornarci alla mente le temerarie realizzazioni come le Triton dei nostri antenati inglesi di 50 anni fa.