La Valle di Fergana costituisce l’esempio più compiuto della politica sovietica del “divide et impera”. Le acque dei fiumi Naryn e Kara Darya, che confluiscono nel Syr Darya, la rendono la zona più fertile e sviluppata dell’intera macro-regione. La valle rimase sempre unita fino all’avvento del regime comunista, che la suddivise tra Uzbekistan (cui andò circa il 17% del territorio), Tagikistan (22%) e Kirghizistan (61%).
Da allora, i confini ostacolano i movimenti tra le tre repubbliche, incuneate l’una nell’altra. Capita così che, per andare da una città all’altra all’interno di uno stesso Paese, i cittadini siano costretti ad attraversare due volte il confine internazionale, percorrendo strade costruite sotto l’Urss e sottoponendosi a estenuanti controlli doganali.
Di difficile accesso, la valle ospita i gruppi armati dell’opposizione islamica di tutta l’Asia centrale, tanto che in passato è stata anche indicata come possibile nascondiglio di bin Laden. Sempre qui, favorito dall’asperità di un territorio che solo in pochi conoscono bene, il traffico degli oppiacei provenienti dall’Afghanistan e diretti in Russia in Europa ha trovato uno dei suoi snodi principali.
L’epicentro del conflitto kirghizo è l’antichissima Osh, seconda città del Paese, abitata da uzbeki, kirghizi, russi e tagiki. Anche qualche mese prima del collasso dell’Urss, la città fu teatro di scontri etnici, quando l’amministrazione kirghiza decise di rendere edificabili parte delle terre coltivabili in mano alla minoranza uzbeka. Quest’ultima aveva, in precedenza, chiesto maggiori forme di autonomia o addirittura la possibilità di aderire all’Uzbekistan. La rivolta del 1990 provocò un migliaio di morti. Nel 2005, dall’altra parte del confine, una sommossa simile a quella di Osh fu messa in atto dalla minoranza kirghiza nella città di Andijan, in Uzbekistan.