SudAfrica 2010


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Il Mondiale parla 'latino'

La vendetta degli 'esportatori' maradona_gesticola_296

di Marco Rossi

Gli ottavi si sono conclusi e le otto squadre rimaste vanno a ritmi latini con tre eccezioni.

Sia flamenco, samba o tango la realtà è che in cinque cantano in spagnolo e portoghese senza dimenticare che il Brasile ha eliminato il Cile e l’Argentina il Messico.

A difendere la tradizione europea con l’eccezione della Spagna restano Germania e Olanda mentre per la gioia degli organizzatori c’è ancora in lizza la Nazionale africana del Ghana. La parte del leone la fa il Sudamerica con Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay.

E’ la prima volta che il Sudamerica porta quattro squadre ai quarti e nelle segrete stanze del calcio nostrano è forse ora di ripensare qualche strategia. Si può partire da considerazioni quasi economiche: il mondo si è diviso tra Paesi esportatori e Paesi importatori.

Finché si parla di club tutti a godere delle prestazioni stellari di Chelsea, Manchester United, Inter, Bayern, ma quando il nodo calciatori arriva al pettine del Mondiale i rapporti di forza si invertono: sono gli esportatori che mandano a casa i ricchi, non si sa ancora per quanto, importatori.

L’Inter, campione d’Italia e d’Europa, mette in campo spesso 11 stranieri e i cognomi non sono più Mazzola, Corso, Beccalossi, Picchi, bensì Maicon, Zanetti (quello argentino), Milito, Julio Cesar e chi più ne ha più ne metta. Dove sta la meraviglia se poi in azzurro vanno calciatori di club che in classifica chiudono quinti, sesti o ancora più giù?

La Federcalcio è sotto accusa e Prandelli, ct già investito prima della catastrofe sudafricana, ripartirà dalle macerie come ripartirà dalle macerie la Francia che nel 2006 aveva giocato la finale proprio contro l’Italia.

Non è un caso che le europee rimaste hanno peculiarità diverse: la Spagna può contare sul doppio blocco Real Madrid-Barcellona che propone top players autoctoni, mentre l’esempio che sembra più praticabile per il calcio di casa nostra pare quello tedesco. La mitica “mannschaft” non è più la disciplinata Nazionale dei panzer fisici e tatticamente perfetti.

Dopo la crisi i dirigenti tedeschi hanno fatto tesoro dell’esperienza sociale del loro Paese che conta immigrati di seconda e terza generazione e hanno immesso in Nazionale giovani di origine turca, africana e addirittura brasiliana. Tutti erano scettici, ma alla fine i giovani terribili di Loew hanno dato spettacolo, raggiunto i quarti e preoccupano anche una corazzata come l’Argentina che affronteranno sabato.

Nel Bel Paese si è discusso per mesi sulla naturalizzazione di Amauri (peraltro finita in un bluff) e tanto si era discusso su Camoranesi che fu uno dei protagonisti del Mondiale 2006. Dopo la sentenza Bosman chiudere le frontiere come avvenne dopo la Corea nel 1966 è impossibile, la strada delle scelte a questo punto è molto stretta e con il consueto pragmatismo l’ha indicata proprio la Germania. Un capitolo a parte merita la crescita dei settori giovanili.

Forse si potrebbe ancora tentare di coltivare talenti italiani, ma nello show busines del calcio europeo non c’è tempo né modo di aspettare. La conseguenza è dragare ogni fondale di quel calcio sudamericano che poi ci manda a casa gustando a freddo la vendetta degli esportatori per necessità.