Su RaiUno il primo processo alle Brigate rosse


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Faletti, sindacalista negli Anni di Piombo

L'intervista g

A Giorgio Faletti (Gino) chiediamo: è la prima volta che fa l’attore in una fiction televisiva. Cosa le è piaciuto di questo personaggio?
Mi è piaciuto il fatto che è stranamente molto simile a me. Sembra che mi tiro addosso una captazio benevolentia perché con questo voglio dire che automaticamente sono un personaggio positivo. Però ho ritrovato in lui molti tratti che sento miei e probabilmente, mentre stavo recitando, stavo facendo me e non il personaggio. Questa cosa mi ha fatto particolarmente piacere. Perché la fiction di per sé è stata molto faticosa. Perché abbiamo girato a luglio, fingendo che fosse inverno. E allora avere questa rilassatezza nell’interpretare il personaggio, in questo marasma di sudore e di calore è stato molto piacevole.

Nel film c'è il difficile rapporto tra le Br e la classe operaia. Da che punto di vista se ne parla?
Questa è la classica domanda che fa tremare i polsi. Non dimentichiamo che si tratta di fiction soprattutto e che ha come protagonista un operaio, un ragazzo giovane che si trova suo malgrado in una situazione difficile, anche senza averne onestamente le capacità e forse il coraggio. Non tutti possono essere Saviano. Il rapporto fra la classe operaia e le Br è un po’ sullo sfondo come per altro è giusto che sia in una fiction che non è cronaca e non è analisi storica. In questo caso è tutto filtrato attraverso il personaggio di Gino, il quale è della lotta di classe la parte buona e la parte positiva e propositiva. Non è una persona che tende a distruggere per ricostruire, ma è una persona che in corso d’opera senza distruggere vuole cambiare delle cose . E credo che questo sia il messaggio che viene da questo film. Che tuttavia si appoggia, si insinua in un periodo storico molto affascinante. E’ un periodo di contraddizione e di lotte. Quando uno ci si trova in mezzo, sicuramente la vive in un modo diverso. Con il tempo certe cose si attenuano e rimane un fascino sinistro. Il fascino che il male, fra virgolette, esercita su ognuno noi.

Qual è il confronto ideologico tra il suo personaggio, che è un sindacalista, e i terroristi che si sentivano i rivoluzionari?
Il confronto ideologico esiste ed è poi quello che diventa un fatto pratico. Dal fatto che Gino esce dalla fabbrica a distribuire i volantini e vuole parlare con la gente, vuole convincerli a fare delle cose. Mentre dall’altra parte c’era della gente che ha deciso che tutto quello che stava intorno era negativo e aveva deciso che l’unico sistema di porre fine a tutto questo era ammazzare e distruggere. Il confronto è mastodontico. Sono due mondi diversi. C’è il nuovo e il vecchio testamento.

Lei che ricordo ha di quegli anni?
Un ricordo molto attenuato in me. In quegli anni stavo a Milano e iniziavo a fare il cabarettista. Ed ero talmente teso e determinato nell’osservare il mondo nell’ottica dell’umorismo che forse la tragicità di quei momenti un pochino mi è sfuggita. Mi ricordo che quando andavamo al Derby sulle Brigare Rosse c’erano alcune battute. Il mondo dell’umorismo è un forma di argine da quello che accade intorno, una forma di esorcismo. L’ho vissuto non ignorando, ma senza accorgermi di quello che stava accadendo. In realtà dal punto di vista pratico non ha cambiato qualcosa , non è stata una rivoluzione. Sono state compiute delle violenze e sono stati compiuti degli atti contro la società che non hanno portato a nulla. In questa fiction rivediamo, dopo trent’anni, che quello che stanno vivendo i personaggi è stata una difficoltà sociale che adesso non ha portato nessun vantaggio.

Una notazione di carattere personale da scrittore: mi ha talmente affascinato lavorare in questa fiction che il mio prossimo romanzo è ambientato in quegli anni. Mi è venuta un’idea simpatica. Quel mondo e specialmente la città di Milano. Mi è venuta voglia di raccontare quel periodo, quando provavo a unire il pranzo con la cena e volevo diventare un cabarettista.

Lei ha collaborato alla sceneggiatura?
Si, ci sono state alcune cose che mi sono adattato d’accordo con il regista. Essendo io un autore e uno scrittore, nel momento in cui recitando sento delle cose e le propongo è chiaro che il regista mi dà ascolto. Poi, insieme decidiamo se quello che ho proposto va bene oppure no. Non dimentichiamoci però che è il film di qualcun altro. Se uno non si fida dello sceneggiatore e di un regista non fa il film. Nel momento in cui si fida può essere propositivo, ma deve adeguarsi a quelli che sono certi dettami di convivenza civile.

Altri progetti futuri?
Sono sempre molto aperto alle proposte, ma per il momento vorrei trascorrere una bella estate serena a casa mia cercando di scrivere un buon romanzo. J. S. E.