Cipro, enologia e mito


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Qui si canta il vino dell’isola di Venere

Magnificato da Omero, soprattutto quello dolce. E piaceva anche a Cleopatra vv

L’isola di Cipro si trova all’altezza del 35° parallelo e del 33° meridiano terrestri. I Troodos ne costituiscono la principale catena montuosa. Una melodia cipriota recita: “foglie verdi e oro cadono nel mare, Cipro d’amore e vino…”, prendendo ispirazione dalla credenza diffusa tra la popolazione cipriota che la dea dell’amore (Venere nella tradizione italica, Afrodite in quella greca) sia nata sulla costa sud-orientale dell’isola. E Venere è da sempre associata al culto di Dioniso, divinità di riferimento per chi fatica e sudore li spendeva tra le viti, come buona parte della popolazione di queste parti. Il vino è infatti parte essenziale della tradizione locale, matrimoni e funerali ne erano aspersi per scaldare gli animi e sciogliere “la favella”, per ravvivare l’ambiente o smorzare la cupezza; elementi del culto dionisiaco sono così stati in parte ereditati dalla religione cristiana che ha permesso loro di sopravvivere fino ad oggi. La vite a Cipro c’è da sempre, non c’è casa che nei canicolari mesi estivi manchi di offrire ristoro sotto un fresco pergolato, che vive di quelle foglie cui la gastronomia locale ha ritagliato degno spazio, ad esempio nella ricetta della “Koupepia”, in cui vengono farcite con bocconcini di carne profumati alle spezie. Gli acini freschi sono invece gradito sollazzo a fine pasto, possono diventare vino, o far da base nella preparazione di dessert che prendono il nome di “Meiligmata”, tra i quali spiccano per tipicità il “Palouzes”, budino di mosto consumato abitualmente con mandorle sbriciolate, e il “Soutziokos”, anch’esso realizzato con mandorle o noci macinate, affogate in una miscela di mosto d’uva fino al raggiungimento del giusto spessore e poi messi ad asciugare. Durante il freddo inverno i Soutziokos vengono serviti con un bicchierino di Zivania, la tradizionale acquavite locale di cui si hanno tracce già a partire dal 330 a.C.
Situata nell’estremo lembo orientale del Mar Mediterraneo, Cipro produce vino fin dall’era preistorica. Scavi condotti da archeologi italiani hanno infatti portato alla luce reperti che fanno risalire i primi insediamenti vitivinicoli dell’isola (comprendenti quindi anche l’attività di vinificazione) alla prima e media età del bronzo, intorno al 1900 a.C. nel distretto di Famugusta, mentre la vitis silvestris fa registrare la sua presenza fin da 2.500 anni prima, nei distretti di Kyrenia, a nord, e Paphos, a ovest. Al fine di proteggere la produzione locale, sotto la dominazione Tolemaica, negli ultimi tre secoli a.C., furono istituite tasse sull’importazione di prodotti forestieri.
L’arte di far vino aveva raggiunto ottimi livelli di finezza, Omero, Seneca, Plinio ne elogiavano soprattutto le versioni dolci, e Cleopatra ricevette in dono Cipro da Marco Antonio proprio per la fama che avevano raggiunto i suoi vini. Durante le crociate, nell’XI secolo, è salito agli onori della gloria il Commandaria, pregiato vino il cui processo produttivo fu già illustrato assai prima della celebrità da Esiodo e il cui nome prende i natali dalla zona di Commanderie, che ospitava il quartier generale dei Templari di San Giovanni. Nel 1213 Henry d’Angeli ne parla così: “Durante la gigantesca degustazione-competizione di vini provenienti da tutto il mondo organizzata da Filippo Augusto re di Francia, il vino dolce di Cipro fu incoronato l’Evangelista dei Vini, brillante come una vera stella”. In Europa alla diffusione dei vini ciprioti contribuì in modo decisivo Venezia, sotto la cui dominazione erano fatti arrivare in Italia, qui “re-imbottati” (rimessi nelle giare anziché imbottigliati) e venduti nel resto del continente.