di Franco Porcarelli
Enzo Biagi è stato un maestro di questa nostra bistrattata lingua che ha avuto il dono, scrivendo, di divertire e far riflettere. Fulminanti, i suoi epiteti lasciavano un segno indelebile che i lettori non riuscivano poi più a dissociare dal personaggio ritratto - o castigato - in poche righe: come quel politico “dalla fronte inutilmente spaziosa”, che dopo i suoi strali passò presto nel quasi anonimato.
Considerato come giornalista televisivo, non aveva rivali. Certo è stato il più grande. Le sue ricette, i suoi insegnamenti erano semplici. “Per fare buona televisione basta una faccia, una telecamera”, diceva. Ed era vero.
Ho lavorato accanto a lui per più di dieci anni. Ricordo che Biagi, durante le riunioni di redazione, dettava i suoi copioni televisivi senza interruzioni, senza ripensamenti: poche righe di presentazione, poi una domanda dietro l’altra; ed erano lezioni continue, illuminanti per tutti. Coglieva l’essenziale, ma le sue domande – pochi vocaboli – non erano mai aride o scheletriche. Era il suo modo di partecipare vivamente alle vite altrui, di raccontare tanto la grande Storia come le più piccole esistenze dei suoi contemporanei. Gli intervistati s’accorgevano subito che di fronte a quelle domande scarne non c’era scampo, che dovevano dare il meglio di loro stessi, rivelarsi, aprirsi. Raccontarsi, finalmente. Molti, dopo questi incontri, gli restarono riconoscenti e amici per tutta la vita.
Quando invece scriveva i suoi pezzi per i giornali, non dettava, ma impugnava in silenzio, chiuso nella sua stanza, una penna antica da cui faceva scaturire una prosa asciutta ma nitida e brillante come quella di Voltaire.
Come a Voltaire, anche a lui capitava di ripetersi. E i suoi critici non hanno perso l’occasione di rimproverarglielo. Succede, però, di ripetersi, soprattutto quando si ha veramente qualcosa da dire. Capita, quando si cerca, più che l’ originalità, la verità, la vita.
Per l’acume e per l’anima però, Biagi non era un Voltaire; forse era più affine a un altro letterato e moralista: de Chamfort.
Chamfort ha scritto: “ Lo storico un giorno otterrà fama d’autore satirico”. Il destino di Enzo Biagi, mi pare inverso: un giorno rileggeremo i suoi libri più sferzanti, le sue prose piu’ acide e stringate, come veri testi di storia contemporanea.
L’ultimo Biagi è stato frainteso, come se si fosse schierato, per la prima volta, apertamente, per dividere il “suo” pubblico. Non è stato così. La sua scrittura, la sua idea di vita e di cronaca come racconto, vanno riscoperti, senza ombre. A un anno dalla sua morte, mi piacerebbe che tutti lo ricordassero, soprattutto, come maestro delle cose che durano.