Dal Castello di Serralunga, nebbia e luce come panorama. Con la nebbia, il silenzio della meditazione. Con la luce, la percezione della forza dirompente del superbo patrimonio di vigne che si susseguono a perdita d’occhio. Energia e magnetismo nei meravigliosi vini che prendono vita e forma da questi luoghi.
Sono molti gli elementi che concorrono a delineare l’unicità, pur in un panorama molto variegato come è quello del Barolo, denominazione unica che comprende terroir, microclimi, altitudini diverse, di un villaggio come Serralunga d’Alba.
La speciale geologia dei suoli, dove giacciono i celebri vigneti danno vita a Barolo leggendari per struttura e durata nel tempo (dal Monfortino al Vigna Rionda, al Falletto, tanto per citare i più noti) ma non solo merito di tannini “speciali” e di una qualità dei terreni che la Carta delle Unità di Terre del Barolo della Regione Piemonte, con linguaggio un po’ da iniziati, definisce così: “…Formazione di Lequio. Sabbia, talora arenaria, giallo-rossastra, spesso con laminazione parallela e ondulata, in strati da 10 a 50 centimetri. Si alternano aritmicamente marne siltose grigie in strati da 5 a 40 centimetri. Paesaggio: unico e maestoso costone asimmetrico articolato in complesso sinuoso (forme ad anfiteatro) secondo angoli arrotondati. Strutturalmente l’immersione degli strati determina un’inclinazione dei versanti asimmetrica con uno sviluppo maggiore per il versante ovest. Crinale in dolce pendenza. Il profilo del versante è concavo…”. “E’ tutto un cru” (Veronelli dixit)
C’è dell’altro, ed è molto, che determina l’unicità di Serralunga d’Alba, questo suo essere, come amava dire Luigi Veronelli, “tutta un cru” (oltre una trentina) e l’esercitare un fascino speciale, quasi una malia, sugli appassionati.
Sono ragioni non esclusivamente “vinose”, ma di ordine geografico o che chiamano in causa analisi di tipo economico e sociale riferite allo sviluppo della produzione vinicola a Serralunga d’Alba. Un’osservazione, banalissima, balza innanzitutto all’occhio anche dell’osservatore più distratto: il fatto che a Serralunga, come per comodità la chiameremo d’ora in poi, non ci si passa, come da Barolo, o da Monforte d’Alba, oppure non si è tentati di salire, venendo quasi attratti dal suo ergersi alta sulla destra, spostandosi da Alba verso Barolo-Monforte, come nel caso di La Morra. A Serralunga ci si sale apposta, la si deve in qualche modo “conquistare”, percorrendo, tornante dopo tornante, in un magnifico scenario di vigneti, la strada tortuosa che sale da Gallo passando davanti a quella storica realtà che sono i tenimenti di Fontanafredda, voluti nel 1878 da Emanuele Mirafiore, sino al borgo storico; oppure la strada panoramica, affascinante e meno nota che a Serralunga porta da Monforte d’Alba in un seducente susseguirsi di colpi d’occhio sui vigneti.
Questo “isolamento”, simboleggiato anche dallo splendido castello con tre torri campanarie una diversa dall’altra, il più bello, slanciato e verticale di tutta la Langa, costruito intorno al 1350 come struttura di difesa, potrebbe rappresentare in qualche modo una metafora dei Barolo di Serralunga, dotato di un carattere unico e inconfondibile nel panorama del Barolo, un vino che sembra quasi “difendersi” dall’esterno grazie alla sua imponente struttura tannica e che va davvero “conquistato” mediante pazienza e attenzione.
In altre parole, che va “addomesticato” e reso più docile e colloquiale da un lungo affinamento in bottiglia nel silenzio delle cantine e che richiede a chi lo degusti una capacità di “ascolto” particolare, nonché un’abilità nel cogliere, quando i vini sono ancora giovani e scontrosi, quella che potrà essere la loro evoluzione. Non si può dire di conoscere e apprezzare il Barolo, e di poter cogliere la sua verità, se non si è maturata una lunga consuetudine con i Barolo di Serralunga, con quei cru che ne hanno costruito e ne mantengono ancora saldissimo oggi il mito. Ci mise del suo anche Cavour
I vini di Serralunga hanno qualcosa di “antropologico”, culturale e storico. A supportare questa affermazione sono perfette alcune osservazioni di uno dei produttori più emblematici di Serralunga, Teobaldo Cappellano, scomparso di recente, compianto re del Barolo Chinato ed erede di quella dinastia dei Cappellano i cui destini s’intrecciano con le vicende del Barolo e di Serralunga: “Serralunga d’Alba non ha mai conosciuto il fenomeno del latifondo e quando il Re ha deciso di creare la Mirafiore, oggi Fontanafredda, ha acquistato gli appezzamenti dai contadini. L’unica proprietà era quella dell’Opera Pia Barolo”.
Storicamente fu la celebre e nobile famiglia dei Falletti agli inizi dell’Ottocento ad avere l’idea di introdurre la coltivazione e la vinificazione del Nebbiolo proprio a Serralunga d’Alba e a Barolo, dopo che la fillossera aveva decimato i vigneti, e furono il Conte Cavour e il Conte Emanuele Mirafiore a incrementare la produzione dei vini della zona e poi la legge Siccardi a smembrare le proprietà ecclesiastiche e la mancanza di eredi a sbriciolare la proprietà dei Falletti, tutto a favore dei contadini di Serralunga d’Alba che si aggiunsero come tanti piccoli proprietari a quelli già esistenti. “Il serralunghese, piccolo proprietario - ricordava Cappellano - era bravo a produrre ma sprovveduto a commercializzare il prodotto, per cui i propri interessi si sono sempre intrecciati con quelli dei pochi grossi proprietari”.
Fu la crescente richiesta delle pregiate uve di Serralunga a indurre a coltivare tutte le terre disponibili. Di conseguenza, ed è un elemento di fondamentale importanza rispetto agli altri paesi del Barolo, a Serralunga d’Alba sorsero pochissime cantine e questo spiega la facilità con cui il contadino viticoltore poteva vendere le sue uve e l’alto prezzo che ne ha sempre ricavato grazie al loro grado zuccherino e ai pregi organolettici. Quel Nebbiolo, costi quel che costi
È sorprendente quanti grandi produttori di Langa abbiano storicamente disposto di un appezzamento di vigneto a Serralunga o quantomeno abbiano cercato, pagandolo anche ad un prezzo più importante, di non farsi mancare un po’ di Nebbiolo proveniente dai magici vigneti di questo villaggio.
Se si considera poi la presenza della Fontanafredda, proprietaria di 30 ettari vitati a Nebbiolo da Barolo situati in larga parte nel territorio di Serralunga, che essendo stata considerata per lungo tempo una realtà a sé, storicamente importante ma quasi aliena, ha fatto sì che per anni nessuna azienda abbia voluto identificarsi con Serralunga (e non solo perché proprietaria di vigneti in diversi villaggi del Barolo, ma per una sorta di rifiuto), è facile spiegare come il nascere e il fortificarsi di una coscienza produttiva e di un saldo “orgoglio vigneron” di Serralunga sia solo storia relativamente recente; magari, anche se non lo confesseranno mai, favorita dalla scelta “battistrada” (e poi imitata, ma solo dopo dieci anni, da altre aziende), dell’amata-odiata Fontanafredda di uscire nel 1988 con un Barolo “base” o annata con ben dichiarata in etichetta la dizione Serralunga (ottenuto da vigneti di proprietà e da uve fornite da vari conferitori, tutti in Serralunga). Una nuova generazione di “vigneron”
Oggi, anche se date le loro dimensioni nessuna di loro è in grado di diventare un’azienda leader capace di tirare la volata, di condurre il tam tam mediatico, di far parlare di sé com’è accaduto invece con i Barolo boys emersi negli anni Ottanta, a La Morra e Monforte d’Alba, una generazione di vigneron locali orgogliosi e caparbi e desiderosi di farsi notare proprio come i colleghi di altri comuni del Barolo, ha innescato un meccanismo virtuoso di confronto, di condivisione di esperienze.
Ha in altre parole dato vita a una new wave composta da 30-40enni o poco più, che disponendo di vigneti sia sulla dorsale che guarda verso la Valle Talloria e l’Alta Langa (i cosiddetti sorì del matin) sia sulla dorsale rivolta ad ovest verso Castiglione Falletto, Perno, Castelletto e Monforte (i sorì della sera), si è messa a lavorare splendidamente in vigna, operando in cantina, spesso con risultati molto convincenti, con un pizzico di meditata innovazione. Sia nelle vinificazioni che negli affinamenti, che spesso prevedono il ricorso alla barrique, oltre che al tonneau e alle botti, di media capacità, di rovere francese e più raramente di Slavonia.
Nomi come Ettore Germano, Luigi Baudana, Cascina Cucco, G. Paolo Manzone, Luigi Pira, Giovanni Rosso, Schiavenza, Massolino Vigna Rionda, Guido Porro, Franco Boasso, Palladino, che rappresentano, insieme ai nomi storici, il presente e il futuro del Barolo di Serralunga e che hanno facilitato, anche grazie al lavoro svolto dalla Bottega del Vino, e da un’amministrazione comunale molto attenta ai temi vinicoli tanto da deliberare, già nel 1996, una delimitazione di 42 sottozone, il nascere e il fortificarsi di una realtà, quella odierna di Serralunga, che merita grande rispetto e che ha, finalmente, riportato Serralunga d’Alba ad avere quel ruolo che meritava nel panorama, ricco e affascinante, del Barolo di oggi. Barolo maturo (pensate a Brahms)
Cosa hanno di speciale dunque questi Barolo (per tacere dei Dolcetto e delle Barbera, che danno grandi risultati)?
Niente di segreto o di magico, ma semplicemente la forza di tanti terroir benedetti da Bacco che conferiscono ai vini una struttura particolarmente importante, salda, imponente, da “addomesticare” e ricondurre docilmente alle ragioni della piacevolezza, e regalano quella componente aromatica, intensa, complessa, variegata, il cui timbro distintivo è dato dalle note di liquirizia, catrame, goudron, prugna, accenni di cuoio e di spezie, sfumature quasi animali e selvatiche, un pizzico di menta e d’alloro che è il profumo dei Barolo di Serralunga.
Mentre al gusto è la terrosità, spesso una connotazione minerale, un tannino che inizialmente morde e ti scuote, ma che con gli anni diventa vellutato e profondo, talvolta avvolgente, pur rimanendo aristocratico e severo, a condurre la danza. Un Barolo non facile dunque, che per essere apprezzato in pieno, sia nelle sue forme più classiche e tradizionali che in quelle più moderne, interlocutorie o di ricerca, ha bisogno di attenzione e di una vera educazione al gusto, che è quello intenso del Nebbiolo fatto per durare negli anni e per diventare ancora più grande nel tempo, del vino dove i tannini sono protagonisti e non comprimari, dove ancora una volta è la terra a fare la differenza.
Ma un Barolo, quello di Serralunga d’Alba, che quando ti ha conquistato, quando sei salito e poi tornato più volte in questo paesino arroccato tra castelli e vigneti e hai colto lo spirito, l’identità scabra ed essenziale, pochi fronzoli e tanta sostanza, dei suoi vignaioli, non ti tradisce mai e ti risuona dentro come una lunga eco, come il timbro brunito e l’oro antico di una sinfonia di Brahms, della Missa Solemnis di Beethoven, delle ultime sinfonie di Anton Bruckner. Perché è il Barolo classico della struttura e della longevità, del tardo stile, della maturità e dell’esperienza, quelle che arrivano con gli anni, proprio come accade ai grandi vini.