Le paure nell'agroalimentare costano caro, oltre 15 miliardi di euro negli ultimi 25 anni. E' questo il risultato di uno studio della Cia-Confederazione degli agricoltori che analizza le ricadute del terrore da contagio sui consumi alimentari degli italiani. Dalla 'mucca pazza' alla ricotta 'rossa', tra veri e falsi disastri, a pagare sembra essere infatti "solo l'agroalimentare italiano" con "danni economici miliardari" e "riflessi pesanti sul lavoro e nel tessuto sociale". Anche se, avverte la Cia, i decessi direttamente imputabili all'ingestione di alimenti sono meno dell'1% di quelli causati dal morbillo.
Di fatto, sottolinea la confederazione, "come e' accaduto costantemente negli ultimi 25 anni, le presunte pandemie si rivelano, almeno nel nostro Paese, praticamente inoffensive, mentre sono in grado di provocare dei danni enormi all'agroalimentare italiano. Il tutto, e' costato al settore, nel suo complesso, gia' 15 miliardi di euro". Ad esempio, ai tempi della grande diffusione della Bse (il morbo della mucca pazza) nel Regno Unito (dove sono morte 120 persone per contagio da bovini malati), in Italia, "l'opinione pubblica veniva allertata con previsioni di migliaia di vittime".
Nella realta', evidenzia lo studio della Cia, si sono verificati solo 2 casi di contagio e nessun decesso, mentre una malattia apparentemente conosciuta e curabile come il morbillo solo nel 2005 faceva registrare 345.000 morti a livello mondiale, 60 mila contagiati e decine di decessi solo in Italia". Quindi, prosegue la Cia, "se da una parte il bilancio delle vittime 'alimentari' e' cosi' basso, dall'altra le perdite economiche per il settore produttivo sono stimate intorno ai due miliardi di euro.
"Nel 2003 l'Oms prevedeva - ricorda ancora la Cia- che l'aviaria avrebbe ucciso 150 milioni di persone a livello mondiale" mentre "i contagi sono stati 369 e i morti 247". In Europa, poi, "non si e' registrato neppure un caso di contagio sugli uomini" anche se "l'allarme pandemico ha portato i consumi di pollame a una diminuzione dell'80%, provocando delle perdite per il settore di due miliardi di euro, per poi scoprire che nessun allevamento italiano era stato contaminato".
Nei primi mesi del 2008, aggiunge la Cia, "il pericolo diossina, legato allo scandalo dei rifiuti in Campania, e' costato ai produttori di mozzarelle di bufala tra i 20 e i 25 milioni di euro, mentre poi e' stato accertato che il livello della sostanza tossica contenuto nelle mozzarelle non era rischioso per la salute umana". Al 2009 risale invece l'allarme per la febbre suina che ha causato 369 morti in Messico, ma nessuno in Europa. Piu' recente il caso delle mozzarelle blu, in occasione del quale "si e' arrivato gia' a parlare di altri rischi assurdi come il 'formaggio fluorescente' o la 'ricotta rossa'".
Si tratta, secondo la Cia, "di disastri mancati che hanno smentito costantemente le previsioni catastrofiche di milioni di morti ed emergenze sanitarie gigantesche". Cosi', "sommando i danni derivati dalle presunte epidemie, le frodi alimentari e l'agropirateria degli ultimi 25 anni, si arriva ad una cifra complessiva di 15 miliardi di euro per il settore primario, paralizzato dall'atteggiamento eccessivamente precauzionale delle istituzioni e del mondo dell'informazione".
Ad essi, aggiunge la Cia, "andrebbero aggiunte tutte le perdite pressoche' incalcolabili che una paralisi del campo alimentare comporta, come ad esempio i costi di smaltimento dei prodotti invenduti o avariati, della sovrapproduzione che sopraggiunge ogni volta che anche solo un elemento della filiera alimentare si arresta o ritarda". L'unico esempio, pero', in cui un'emergenza alimentare si e' trasformata in un progresso del settore e' il caso del vino al metanolo del 1986.
Inizialmente, spiega la confederazione, "la reale gravita' del fenomeno (ci furono 19 morti da avvelenamento e 15 persone persero la vista a causa dell'adulterazione del vino) causo' il crollo di consumi ed esportazioni, che si ridussero a un terzo rispetto all'anno precedente e il successivo blocco delle forniture italiane alla dogana". Successivamente, la prima grande frode alimentare italiana "si e' pero' presto trasformata in un salto di qualita' che ha portato il settore vinicolo ai livelli attuali di primato".
Dopo vent'anni, nonostante si produca molto meno di allora, il fatturato e' triplicato (+260%), cosi' come il valore dell'export (+250%); mentre il numero dei vini certificati e' raddoppiato (passando dai 228 del 1986 ai 460 di oggi). "Tranne che per questo esempio -conclude la Cia- tutti i successivi disastri alimentari, piu' presunti che reali, hanno portato a crolli dei consumi e dei fatturati delle aziende, licenziamenti e blocchi delle esportazioni".