“La Biennale è sempre un evento di straordinaria importanza sul piano culturale e quindi su quello storico e politico per l’Italia”. Parola di Giorgio Napolitano, a Venezia per la serata inaugurale della Mostra del Cinema, prima volta per un presidente della Repubblica. “Francamente – commenta – io non ho fatto questo calcolo, sono venuto, in modo molto privato, perché ho ricevuto un invito e mi fa piacere esserci perché amo il cinema”. E a questo proposito il Capo dello Stato si è detto “molto contento che ci sia una partecipazione così rilevante di prime opere italiane”.
Serata inaugurale che ha registrato anche alcune proteste e contestazioni durante il red carpet: prima il sindacato di polizia Coisp che per protestare contro i tagli del governo ha piazzato sul tappeto rosso alcune sagome a grandezza naturale di poliziotti pugnalati alle spalle; poi i fischi e le urla "vattene a casa" al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Letta, che invece in sala è stato applaudito. La vera standing ovation, però, in Sala Grande è stata tutta per Napolitano.
Il cinema italiano, ha assicurato in mattinata in conferenza stampa smentendo un suo giudizio di segno contrario, piace molto anche al presidente della giuria di questa 67. Mostra, Quentin Tarantino: ”Quando penso al cinema italiano mi viene in mente il termine passione”. Fare il giurato, dice, “permette a un artista di crescere, di diventare più forte”. E quanto alla sua imparzialità, vista la presenza di molti suoi amici nelle opere in competizione, chiosa: “Amo giudicare i film per quello che sono. E certo che difenderei il film che ha fatto mia madre, lo difenderei fino alla fine, ma solo se mi piace”. Gabriele Salvatores, anche lui in giuria, condivide l’entusiasmo di Tarantino: “Giudicare i film è come entrare nel sogno di qualcun altro, fa bene al tuo ego”. E sul nostro cinema: ”Da quando faccio questo mestiere si parla di crisi: io penso che oggi stiamo facendo ottimi prodotti”. Il film di apertura in concorso della Mostra è “Black Swan” di Darren Aronofsky, già vincitore del Leone d’Oro nel 2008 con “The wrestler”. Ma fuori concorso ci sono anche “Jingwu Fengyun – Chen Zhen (Legend of the fist: the return of Chen Zhen)” di Andrew Lau e “Machete” di Robert Rodriguez.BLACK SWAN
di Darren Aronofsky, Usa 2010 (20th Century Fox)
Natalie Portman, Vincent Cassel, Mila Kunis, Barbara Hershey, Winona Ryder
Dal corpo martoriato, selvaggio, sporco di Mickey Rourke a quello nobile ma altrettanto sofferente di Natalie Portman, “The wrestler” e “Black Swan”, quasi un compendio l’uno dell’altro, per dirla con le parole del regista “”l’arte più sublime e quella più infima” in cui i due personaggi “usano il proprio corpo per dare espressione alla loro anima”.
Nina (Portman) vive ossessionata dalla danza, prigioniera di se stessa e della madre (Hershey), vuole con tutta se stessa il ruolo della Regina ne “Il Lago dei Cigni” perché il direttore artistico Leroy (Cassel) deve sostituire la prima ballerina (Ryder) ormai sul viale del tramonto. Nina ha una tecnica impeccabile, ma senz’anima, a suo agio nella purezza del Cigno Bianco ma lontana dalla sensualità animale del Cigno Nero. Ruolo per cui la nuova arrivata Lily (Kunis) sembra perfetta. Più Nina studia, più si ammala, più soffre, comincia ad avere visioni, ad odiare sua madre, a vedere il suo corpo cambiare. E il rapporto con Lily, che potrebbe risvegliare il suo istinto, porta invece alla luce un lato oscuro.
Aronofsky pensa a un thriller psicologico e riesce a costruire quasi un horror sulle note di Chajkovskij. Tiene lo spettatore in tensione, tranne qualche momento ridondante, sulla base di una storia minima. Il fatto che sia ambientata nel mondo del balletto, apparentemente lontano da orrori e paure, non fa che aumentarne il fascino. A volte la tensione resta sospesa, come se non si capisse dove il regista vuole andare a parare, ma è quasi un suo marchio di fabbrica, se ricordiamo “The Fountain”. Uno di quei film che dividerà i giudizi, al di là delle cosiddette scene hot, tra cui un paio di masturbazioni della protagonista e un rapporto lesbo (ma l’atmosfera non consente divagazioni erotiche). Comunque un buon inizio per questa 67. Mostra.
MACHETE
di Robert Rodriguez e Ethan Maniquis, Usa 2009 (Hyde Park International)
Danny Trejo, Jessica Alba, Michelle Rodriguez, Robert De Niro, Steven Seagal, Don Johnson.
I film di Rodriguez sembrano sempre una festa tra amici dove tutti, anche se sembrano prendersi maledettamente sul serio, si divertono come matti.
Ex agente federale creduto morto dopo uno scontro con il potentissimo boss messicano della droga Torrez (Seagal), Machete (Trejo) vive alla giornata in Texas e vuole dimenticare il passato. Ma il perfido lobbista Booth lo ingaggia, senza sapere chi sia in realtà, per uccidere un senatore. Machete si troverà coinvolto in un complotto che farà di lui un ricercato. Contro di lui Booth, Von (Don Johnson) spietata guardia di frontiera a capo di un piccolo esercito e lo stesso Torrez. Dalla sua parte, Sartana Rivera (Alba) agente dell’anti-immigrazione, Luz (Rodriguez), rivoluzionaria idealista e Padre, un prete coi fucili a pompa.
Rodriguez prende il suo attore feticcio e gli regala un ruolo da protagonista (“per troppo tempo è stato relegato in piccoli ruoli”, dice il regista). Lo stile è quello del cinema di genere, film di serie B a base di violenza, sesso e azione tipici degli anni ’70. Lo stesso tema musicale, di Chingon, richiama quello di “Shaft”. Se avete visto “Grindhouse”, i due film in uno fatto con Tarantino, sapete esattamente cosa aspettarvi: birra, patatine e un divano l’ambiente ideale per la visione.