Rigoletto e la censura


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Verdi e il contrastato dramma di Hugo

Fu un colpo di fulmine quello tra il compositore e e il soggetto di Le roi s’amuse, il dramma presentato da Victor Hugo alla Comédie-Francaise di Parigi. Ma non fu facile per Verdi ottenere dalla censura veneziana il nulla osta per il suo adattamento g

Un colpo di fulmine quello tra Verdi e il soggetto di Le roi s’amuse, il dramma presentato da Victor Hugo il 22 novembre 1832 alla Comédie-Francaise di Parigi, e di fatto archetipo di Rigoletto.

Il musicista ne parlò al suo librettista preferito, il veneziano Francescano Maria Piave, nel 1844. Allora Piave era direttore degli spettacoli del Teatro La Fenice. “E’ forse il più gran dramma dei tempi moderni e una delle più grandi creazioni che vanti il teatro di tutti i paesi e di tutte le epoche”, gli disse senza alcuna falsa moderazione. Sei anni dopo cominciano a occuparsene. Verdi era al corrente del divieto di rappresentazione della pièce vittorughiana in Francia, accusata di oltraggio ai costumi (fu riproposta solo 50 anni più tardi). Così cercò subito di ottenere il nulla osta dalla censura veneziana. Che non arrivò facilmente: le mani delle autorità austriache ridisegnarono molti personaggi del melodramma. E il titolo. Prima “La Maledizione”, bocciato dal Governatore de Gorzokowski. Scrive il critico Mario Lavagetto nel suo libro “Un caso di censura. Rigoletto” (edizioni Mondadori): “Il concetto di maledizione era un tabù religioso insuperabile”. Poi , “Il Duca di Vendome”, ma fu rifiutato dallo stesso Verdi. Spiega Lavagetto: “Perché snaturava l’originale. Il duca, che nel Rigoletto sarà ‘libertino’, nel Vendome sarebbe stato un ‘vagheggino’, che non si abbandona al desiderio, ma si accontenta delle premesse”. Verdi si impuntò. Il direttore della Fenice, temendo i danni economici di un eventuale fallimento, mandò a Busseto il suo segretario, con il librettista. E si arrivò a un compromesso.

La scena venne spostata dalla Francia di Francesco I al Ducato di Mantova, dalla Senna al Mincio, Blanche, la figlia del Triboulet di Hugo, venne ribattezzata Gilda, il sicario Saltabadil diventò Sparafucile e sua sorella Maugelonne prese il nome di Maddalena. Più complesso l’accordo sulla scena finale, per Verdi irrinunciabile, per la censura “scandalosa”: il corpo di Gilda ferita a morte, portato sul palco dentro a un sacco.

Ma la struttura contenutistica non cambiò. Ancora Lavagetto: “Il potere, nell’opera, era nelle mani di un seduttore indefesso, la sua controfigura era un buffone gobbo e deforme su cui pesava per di più una paternità derelitta: insomma, la corte ducale veniva raccontata come un mondo schizofrenico”.

Per il musicologo Gianni Ruffin, “il declassamento a Duca del Re vittorughiano non appare in effetti una soluzione di ripiego, ma risulta avvalorato dalla sottesa allusione al Duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga: patrono, sì, di Monteverdi e Rubens, ma ancor più noto per l’assidua dedizione a uno spregiudicato libertinaggio”.

“Le roi s’amuse” , feroce critica della monarchia e della nobiltà, al suo debutto fu accolto dai fischi e dalle proteste del pubblico. Poi scomparve. Si riaffacciò sul proscenio nel 1882, ma fu di nuovo un flop. A quei tempi, Rigoletto era in scena ormai da 30 anni. E rappresentato in tutti i teatri d’Europa.