Oggi riflettori puntati su un altro italiano, Mario Martone con “Noi credevamo”, sul Risorgimento italiano, “Promises written in water” di e con Vincent Gallo (protagonista anche del film di Skolimowski), e “Balada triste de trompeta” di Alex de la Iglesia, sulla Spagna franchista del 1937.
Ieri la giornata è stata mivimentata dalle polemiche attorno al film “Vallanzasca: gli angeli del male” di Michele Placido, fuori concorso a Venezia 67. Per i familiari delle vittime, che hanno scritto una lettera al Corriere della Sera, il film non doveva essere proiettato e parlano di “pericolosa tentazione all’emulazione”. Il regista dice che in altri Paesi sono frequenti film del genere, che anche in Italia sono state fatte fiction sul Capo dei capi e su Gomorra, che lui ha rifiutato il concorso proprio per evitare polemiche, che Vallanzasca certo non lo assolve ma che “ci sono persone che stanno in Parlamento e hanno fatto di peggio”. VALLANZASCA – GLI ANGELI DEL MALE
di Michele Placido, Italia 2010 (20th Century Fox)
Kim Rossi Stuart, Filippo Timi, Moritz Bleibtreu, Valeria Solarino, Paz Vega, Francesco Scianna.
Se “Romanzo criminale” ha funzionato così bene, “Vallanzasca” potrebbe avere lo stesso destino: cambia la città, ma stile e genere sono quelli.
Negli anni Settanta la mala a Milano è sotto il controllo di Francis Turatello, detto Faccia d’angelo. Ma una banda di rapinatori, amici d’infanzia, piccoli delinquenti, si comincia a fare strada a colpi di rapine: li comanda Renato Vallanzasca, carismatico e affascinante personaggio destinato al crimine sin da ragazzo. Con i primi soldi arriva la bella vita, la banda si allarga e cominciano i primi omicidi. Vallanzasca conosce Consuelo, bella ragazza meridionale che gli darà un figlio e che si trova con lui al momento del suo primo arresto. E’ solo l’inizio di una carriera fatta di innumerevoli rapine, sparatorie, vittime, nuovi membri della banda, evasioni, carcere e ancora evasioni, con amici che si perdono per strada, che tradiscono, che vengono uccisi, nuove alleanze e matrimoni. Fino all’ultimo, definitivo arresto.
“Il mio non è certo un film assolutorio – dice il regista –Quello che fa Vallanzasca è fin troppo chiaro: ammazza poliziotti, scanna il suo amico più caro in carcere. Se uno vede una glorificazione, non ha capito. E’ un criminale fino in fondo, ma un criminale con una sua etica del male”. E spiega: “Ha mantenuto una sua etica comportamentale, una sua coerenza nel male fino alla fine. Non ammazzava a sangue freddo, non faceva saltare in aria innocenti come hanno fatto la mafia e i terroristi, non ha mai fatto alleanze né con la mafia, né con la camorra né con la politica eversiva che in quegli anni cominciava ad affollare le carceri. E infatti sta scontando il suo ergastolo”. Certo che il rischio di una mitizzazione c’è sempre quando si romanza la vita di un criminale, rischio aiutato qui da un’ottima interpretazione di Rossi Stuart, che quando ad esempio dice sorridendo “io non sono cattivo, ho solo un lato oscuro molto pronunciato” diventa oggettivamente simpatico. Ma sono riflessioni che attengono marginalmente all’opera cinematografica: qui Placido, in maniera anche abbastanza lineare e scolastica e seguendo lo schema di “Romanzo criminale”, costruisce un buon poliziesco, di quelli che piacciono oggi, con attori (bravo Timi, meno i personaggi minori) e ambientazioni all’altezza.
ESSENTIAL KILLING
di Jerzy Skolimowski. Polonia, Norvegia, Ungheria, Irlanda (2009)
Vincent Gallo, Emanuelle Seigner.
C’è l’Afghanistan, l’esercito americano, un talebano in fuga, torture, segreti e uccisioni. Ma non è un film sulla guerra.
Mohammed viene catturato dai soldati americani in Afghanistan, interrogato, torturato e trasferito in un centro di reclusione segreto in Europa. Durante il trasporto, però, il mezzo su cui viaggia ha un incidente, e lui si trova libero e braccato in una foresta ghiacciata in una terra sconosciuta. Solo, ferito, affamato, deve lottare ferocemente se vuole sopravvivere.
Skolimowski (“The shout”, “The lightship”, “Four nights with Anna”) parte dall’esistenza di centri di reclusione segreti, i cosiddetti “luoghi neri” della Cia, in Europa. Ma è l’unico dato “politico” del film, solo una cornice, un pretesto per raccontare “la storia di un uomo scalzo, in catene, in lotta contro il mondo”. E il film è questo: un viaggio straziante e disumano, la visione della bestialità a cui può arrivare un uomo, qualsiasi uomo, se in gioco c’è la sua vita. Non sappiamo niente di lui, nemmeno se è colpevole o innocente, né dice una sola parola per tutta la durata del film. Per interpretare il personaggio, dice il regista, Gallo “si è auto-torturato per tutte le riprese, soffrendo il freddo e la fame, senza avere alcuna vita sociale”. Ma non c’è nulla di “eroico”, solo disperazione.