SOMEWHERE
di Sofia Coppola, Usa 2010 (Medusa)
Stephen Dorff, Elle Fanning, Chris Pontius.
Parte dai suoi ricordi Sofia, ed esplorando ancora una volta la crisi esistenziale di un uomo, ci dice la sua sul “dorato” mondo dei divi.
Johnny Marco (Dorff) è un attore ricco e famoso. Vive nella stanza 59 del leggendario Chateau Marmont di Los Angeles, gira in Ferrari nera, partecipa ai party organizzati dal fratello, lap dancers si esibiscono per lui a domicilio, appena alza lo sguardo trova una bella ragazza che vuole andare a letto con lui ed assolve con diligente noia i compiti che la sua agente gli affida. Una vita addormentata nella quale l’arrivo di Cleo, figlia undicenne di un matrimonio fallito, apre una crepa. La madre non ci sarà per un po’ e Johnny per la prima volta è costretto a passare del tempo con sua figlia, per la prima volta impara a conoscere sua figlia, per la prima volta guarda la sua stessa vita e si accorge che quello che vede non gli piace.
“Somewhere”, anche per l’affetto quasi incondizionato che suscita sempre la sua autrice, è probabilmente uno dei candidati alla vittoria finale. Le atmosfere e i ritmi sono quelli rarefatti, lenti, con una luce tenue e lunghe inquadrature senza soluzione tipiche della regista. Con lampi di umorismo fulminante. E ci sono, come nel cinema del padre da qualche tempo a questa parte, i ricordi e forse anche i “conti” col suo passato di figlia. “Sicuramente sono stata influenzata dai ricordi della vita con mio padre, da bambina: ricordo quanto ero eccitata, all'epoca, di entrare grazie a lui nel mondo adulto, il mondo dello showbiz”, ammette. Ma è solo una parte: “Mio padre era diverso dal protagonista del film”. Uno dei ricordi che la regista ha inserito è la sua partecipazione dal bambina ai Telegatti a Milano. Si vedono Simona Ventura, Nino Frassica e Valeria Marini nei panni di se stessi, oltre a una Laura Chiatti ennesima amante di Johnny Marco. Una pennellata – che condividiamo - che disegna una televisione “deficiente” come poche, compreso l’agente italiano che si chiama Pupi (!). Lei minimizza: “Non volevo offendere la qualità della vostra tv. Credo che ormai lo show business e le tv siano uguali in ogni parte del mondo”. Che non è proprio come dire: la vostra tv non è “deficiente”.