di Rodolfo Fellini
A due mesi dalle alluvioni che ne hanno devastato il 20% del territorio, il Pakistan continua a fare i conti con un’economia in ginocchio e con i gravissimi danni alle infrastrutture e all’intera attività produttiva. Il Paese è in mezzo a un tunnel di cui non si riesce a vedere la fine e la reazione, relativamente blanda, mostrata dalla comunità internazionale non fa che peggiorare le cose.
L’ultimo bilancio, fornito dall’Unesco, riguarda le scuole: le alluvioni hanno danneggiato 9.780 istituti statali, di cui 2.700 in modo irrecuperabile. A oggi, una cifra stimata tra 1,5 e 2,5 milioni di studenti non possono frequentare le aule, in un Paese con il 43% di analfabeti e dove solo il 57% dei bambini in età scolastica frequenta le scuole primarie. Nel complesso, calcolando anche gli istituti privati, gli edifici inagibili sono il 5-6% del totale. “Si tratta di un’approssimazione per difetto, e il bilancio è certamente destinato ad aggravarsi”, spiega alla stampa Umar Amal, responsabile dell’Unesco a Islamabad.
In contemporanea con l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che si svolge a New York, un’altra agenzia Onu, l’Unicef, è tornata a richiamare l’attenzione degli Stati membri sull’emergenza pakistana. “L’opinione pubblica mondiale non ha idea delle reali dimensioni della crisi umanitaria”, si legge in un comunicato. L’Unicef ha aggiornato le sue richieste di aiuti alla comunità internazionale, portandole da 161 a 252 milioni di dollari solo per il solo periodo agosto 2010-luglio 2011. Allevamento e agricoltura sono in ginocchio, mancano cibo, acqua potabile, farmaci e strutture sanitarie. Con 20 milioni di persone, tra vittime, dispersi e sfollati, il bilancio umano delle alluvioni supera la somma di altre tre storiche catastrofi: il terremoto dello scorso gennaio ad Haiti, quello del 2005 nel Kashmir e lo tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano.
Le alluvioni potrebbero ripercuotersi negativamente sul fragile panorama politico pakistano. “Se il governo non saprà dare risposte adeguate ai milioni di sfollati in termini di alloggi, cibo e assistenza sanitaria, il rischio di un diffuso conflitto sociale si farà sempre più concreto”, osserva Kamran Bokhari, direttore dell’agenzia di intelligence globale Stratfor per l’Asia meridionale. “Lo spostamento in massa di persone da una regione a un’altra causa forme di instabilità potenzialmente letali in ogni Paese”. In questo contesto, si moltiplicano i timori sul fatto che l’apparato militare, che riveste un ruolo centrale nella logistica e nella distribuzione degli aiuti, possa in qualche modo prendere il sopravvento sulle autorità civili, in perdita di legittimità. “Già oggi, alcuni donatori sono tentati di rivolgersi direttamente ai militari, eludendo il governo. Sarebbe una scelta molto pericolosa”, dice Samina Ahmed, direttore per l’Asia meridionale della Ong “International Crisis Group”. Washington e Banca mondiale hanno ribadito la richiesta a governo e presidente di garantire a tutti i donatori la massima trasparenza e responsabilità nell’uso degli aiuti. Il più è ancora da fare…