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Il testamento biologico

Un dibattito che divide laici e cattolici sulle questioni fondamentali: vita e morte, eutanasia, diritti degli “incapaci”, la linea d’ombra che separa cure e accanimento terapeutico eluana_testamento_296

Il “caso Englaro” nasce dal fatto che in Italia non esiste una normativa specifica sull’interruzione delle cure a persone non più in grado di esprimere la propria volontà al riguardo. Il nostro Paese ha tuttavia ratificato nel 2001 la Convenzione di Oviedo del 1997, in cui si stabilisce che “saranno tenuti in considerazione i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente, che al momento dell'intervento non è in grado di esprimere la propria volontà”.

Malgrado questo orientamento, il Parlamento non ha legiferato sulle “Direttive anticipate”. Dieci, allo stato attuale, i disegni di legge che trattano del testamento biologico –o “volontà di fine vita" -, l’ultimo portato in Commissione Sanità del Senato il 7 novembre, con la firma di 30 senatori di Pdl, Lega Nord e Udc.

Anche prima di approdare in Parlamento, le forti implicazioni emotive del caso Englaro hanno fatto da traino e catalizzatore a un dibattito che parte da lontano e che divide laici e cattolici sulle questioni fondamentali: vita e morte, eutanasia, diritti degli “incapaci”, la linea d’ombra che separa cure e accanimento terapeutico. Se laici e credenti sembrano in maggioranza ormai concordi, con sfumature varie, sulla necessità di una legge che dia valore alle disposizioni del paziente, cambia - e di molto - la percezione del limite da non oltrepassare.

Autodeterminazione del paziente, ruolo del medico, interruzione dei trattamenti di sostegno: questi i tre punti che dividono laici e cattolici.
Fra i laici prevale l’orientamento verso la massima autodeterminazione.

Un esempio nel ddl 972 presentato dal senatore Umberto Veronesi  del Partito democratico in questa legistalura: “Noi pensiamo che nessuno debba decidere per noi. Ognuno ha il diritto di autodeterminarsi e di esprimere cosa vuol fare della propria esistenza nel caso si trovasse in condizioni che lo privano della capacità di esprimersi”, si legge nella relazione, e questa libertà è chiaramente estesa anche ai trattamenti di sostegno, “compresa l’alimentazione e idratazione artificiale”. Quanto al medico, questi “ha il dovere di informare la persona sulle possibili conseguenze della propria decisione".

Veronesi ricorda che l'articolo 51 del codice italiano di deontologia medica recita: "Se la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale".

"Tuttavia - aggiunge nella relazione - è data la possibilità al medico che ha in carico il paziente di non seguire le indicazioni di volontà anticipate, se questo contrasta con le sue convinzioni etiche, affidando quindi il paziente ad altri sanitari”.

La posizione cattolica, nelle parole di Benedetto XVI alla Società di italiana di chirurgia, è netta: “Innegabile che si debba rispettare l'autodeterminazione del paziente”, bisogna però “guardare con sospetto qualsiasi tentativo di intromissione dall'esterno nel delicato rapporto medico-paziente", né si può "abbandonare il paziente nel momento in cui si avverte l'impossibilita' di ottenere risultati apprezzabili” e “se anche la guarigione non è più prospettabile, si può ancora fare molto per il malato: se ne può alleviare la sofferenza, soprattutto lo si può accompagnare nel suo cammino, migliorandone in quanto possibile la qualità di vita”.

La Cei, attraverso le parole del cardinale Angelo Bagnasco (nella foto), prospetta una legge sul fine vita “che – questa l’attesa − riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell’ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico”. Ultima parola, quindi, al medico e nessuna necessità di legiferare sul piano di alimentazione e idratazione, “universalmente riconosciuti ormai come trattamenti di sostegno vitale, qualitativamente diversi dalle terapie sanitarie”. "Togliere idratazione e nutrimento", aveva detto il cardinal Bagnasco in un’altra occasione, "è come togliere da mangiare e da bere a una persona che ne ha bisogno".

di F. M.