Festival del Cinema di Roma


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Maria, la madre delle madri

In concorso 'Io sono con te' di Guido Chiesa. Presentato 'Boardwalk Empire', la serie di Martin Scorsese

Guido Chiesa e la sua Maria di Nazareth in “Io sono con te” è l’ultimo degli italiani in concorso al Festival del Film di Roma. “Kill me please” del belga Olias Barco, invece, chiude l’elenco dei film in competizione in questa edizione.

Tra gli eventi della giornata, “Boardwalk Empire” di Martin Scorsese, puntata pilota di una serie con Steve Buscemi prodotta dal regista che racconta l’inizio del proibizionismo. Poi l’incontro con Inge Feltrinelli e vari scrittori condotto da Gad Lerner, seguito dalla proiezione del documentario “Inge film” di Luca Scarzella e Simonetta Fiori. Per L’Altro Cinema | Extra, fuori concorso, sarà proiettato “Yves Saint Laurent, L’amour fou” di Pierre Thoretton. Infine in concorso per la sezione Alice nella città ci saranno: “I want to be a soldier” dello spagnolo Christian Molina, “Tête de turc” del francese Pascal Elbé e “Herois” dello spagnolo Pau Freixas, mentre in collaborazione tra Alice nella città e L’Altro Cinema | Extra sarà presentato “Waiting for Superman” dal regista premio Oscar di Una scomoda verità David Guggenheim, un’inchiesta sulla crisi dell’istruzione pubblica negli Stati Uniti.

IO SONO CON TE
di Guido Chiesa, Italia 2010 (Rai Trade)
Nadia Khlifi, Rabeb Srairi, Mustapha Benstiti, Mohamed Idoudi, Ahmed Hafiene,Carlo Cecchi, Giorgio Colangeli, Fabrizio Gifuni.

In fondo è una storia d’amore. L’amore più grande, quello di una madre per il figlio, quello della madre e del figlio più famosi della storia.

Nella Galilea di duemila anni fa, Maria viene promessa in sposa a Giuseppe, vedovo e con due figli. Maria è giovane, dolcissima, con idee e sentimenti limpidi e forti. Giuseppe ha un cuore grande, è gentile, e accetta la misteriosa gravidanza di Maria senza fare troppe domande. Nemmeno quando Maria comincia a mettere in discussione la legge di Mardocheo, il fratello più anziano di Giuseppe e capo della comunità. Leggi fatte dagli uomini, che prescrivono solo disciplina e sottomissione. La nascita di suo figlio Gesù non fa che rafforzarla nelle sue convinzioni, che difende sempre con un sorriso più forte di cento spade. “Il Signore ci chiede misericordia, non sacrifici”, dirà quando si rifiuterà di sottoporre suo figlio alla circoncisione. E ricorderà sempre: “Io sono cresciuta nell'amore, a cominciare dal latte materno”. Così crescerà suo figlio Gesù, nell’amore incondizionato, che nulla chiede in cambio, che sta sopra le regole degli uomini, e che per questo è rivoluzionario.

Guido Chiesa (“Babylon”, “Il partigiano Johnny”, “Lavorare con lentezza”) dice che questo film è nato da una discussione con una donna, Maeve Corbo, che parlando con sua moglie (e co-sceneggiatrice) Nicoletta Micheli ha messo in luce aspetti della figura di Maria lontani da quelli classici, più madre che mito. Partendo da questo, e attingendo sia dai vangeli canonici che dai testi apocrifi, il regista racconta una storia minima, lontana da miracoli, sacralità, miti e magie. La fa recitare in un dialetto tipico delle Tunisia meridionale (dove il film è stato girato), che è un misto di arabo, ebraico e aramaico, e in greco antico da attori quasi tutti non professionisti. Un’operazione alla Mel Gibson, verrebbe da pensare, ma in realtà meno pomposa e più garbata (un peccato che il film nelle sale arriverà doppiato). Ed è essenzialmente la storia di una maternità, di un paradigma di maternità, quella basata su amore e fiducia incondizionati, che dice al figlio “io ci sono, ma tu vai e sii libero”, che rende il figlio capace a sua volta di amare, di essere forte e indipendente. Il padre, sostiene il regista, deve dare il suo contributo, senza interferire, perché – e anche la chiesa spesso lo dimentica - sono le madri, le donne, quelle che veramente cambiano la storia. Se Gesù fu l’uomo che sappiamo, è insomma la tesi di Chiesa, fu soprattutto merito di Maria. Visto così, alleggerendolo del peso dell’ufficialità, “Io sono con te”, pur con qualche leggerezza, è un bel film. E il sorriso di Nadia Khlifi (Maria da bambina) ci resterà a lungo negli occhi. (Sa.Sa.)

Al Festival è stato presentato in anteprima l’episodio pilota di “Boardwalk Empire” diretto da Martin Scorsese, della serie tv targata Hbo, ideata da Terence Winter e prodotta dallo stesso Scorsese e da Mark Wahlberg. E la televisione diventa un territorio dove grandi maestri si stanno confrontando, realizzando prodotti di altissimo livello come nell’episodio visto a Roma. Televisione di serie A che attinge dal cinema e da cui il cinema può imparare, come ha detto Michael Pitt, uno dei protagonisti presente al Festival. “Quando vedo i Sopranos in tv non penso che ci sia differenza tra una forma d'arte e l'altra. Ad esempio Boardwalk Empire è stato girato in sette mesi: una cosa buona perché noi tutti del cast ci siamo potuti concentrare meglio sulla storia e i personaggi e anche il contesto politico può essere sviluppato nei serial meglio che al cinema, in quelle due ore in cui si svolge in genere un film. Il mercato delle serie oggi è diventato un ottimo stimolo per il cinema. Anche Kubrick aveva detto che ormai la tv aveva alzato i livelli e così per fare cinema si deve essere più radicali''.

La serie è composta da dodici puntate ambientate ad Atlantic City. Si svolge negli anni '20 durante il proibizionismo: Michael Pitt interpreta un veterano della prima guerra mondiale che torna in America, vede in suoi compagni che eccellono nei loro rispettivi campi e comincia così a darsi allo spaccio di alcolici. Gli episodi sono ambientati nell'era dei gangster, dell'illegalità, dei grandi cambiamenti sociali ed economici: l'epoca di chi persegue il sogno americano con ogni mezzo. Periodo caro a Martin Scorsese che lo sa descrivere meravigliosamente e in cui il maestro torna a raccontare la sua ossessione per la violenza. In quel periodo sta per nascere Wall Street e le donne avranno presto il diritto di voto, nascono le prime radio e l'America è il paese delle grandi occasioni. Il protagonista è Enoch 'Nucky' Thompson (Steve Buscemi), politico corrotto, falso e ipocrita con un passato tragico tutto da scoprire e un animo malinconico. La serie è costata complessivamente 60 milioni di dollari che andrà in onda da gennaio 2011 in prima visione in Italia su Sky Cinema 1 Hd. (J. S. E.)



KILL ME PLEASE

di Olias Barco, Belgio 2010 (Le Pacte)
Virgile Bramly, Aurelien Recoing, Benoit Poelvoorde, Bouli Lanners, Saul Rubinek, Zazie de Paris
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Una storia triste, tristissima, da morir dal ridere.

Il dottor Kruger è uno studioso del suicidio. Psichiatra, benestante, vuole creare una struttura dove chi lo desidera, e dopo gli opportuni controlli, può darsi la morte in modo pulito, sereno, con assistenza medica, realizzando addirittura l’ultimo desiderio. Al momento deciso si dovrà bere un preparato che nel giro di tre minuti, e senza possibilità di cambiare idea, darà la morte. I candidati devono mandare un video in cui spiegano le loro motivazioni. Sarà Kruger a scegliere. E’ così che nella lussuosa villa adibita a clinica cominciano ad arrivare un famoso comico con un cancro, una bella ragazza che soffoca se ogni ora non si fa una iniezione, un uomo che si è giocato vita e affetti al gioco d’azzardo, un ragazzo che tenta di suicidarsi da quando ha 7 anni, un obeso rapper, un vecchio cabarettista e altri ancora. Una miscela esplosiva di personalità nichiliste, che tuttavia Kruger riesce a gestire. Fino alla notte in cui scoppia un incendio.

Olias Barco ha diretto il suo primo cortometraggio a 21 anni, nel 1992. Con “Poubelles” nel 1994 ha vinto il premio Rail d’Or alla Settimana della critica al Festival di Cannes e nel 2002 ha diretto il suo primo lungometraggio, “Snowborder”. Questo “Kill me please” è un ritorno fulminante. Girato in uno splendido bianco e nero, con una fotografia che alterna lampi di luce a momenti quasi sfocati, perfetta per sottolineare gli stati emotivi dei personaggi, (fatte le dovute proporzioni) il film ha momenti di comicità pura che ondeggiano tra Mel Brooks e Jim Jarmusch. Una tela di “serietà” e di riflessioni “scientifiche” sulla quale con poche e mirate pennellate il regista disegna follie, strappi, fughe. Su tutto, la morte, che fa sempre di testa sua. (Sa.Sa.)