Festival del Cinema di Roma


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Il miglior film è Kill Me Please

Toni Servillo miglior attore per Una vita tranquilla

La surreale commedia in bianco e nero, nerissimo, “Kill me please” di Olias Barco vince la quinta edizione del Festival del Film di Roma. La giuria internazionale presieduta da Sergio Castellitto ha assegnato il Premio Marc’Aurelio al miglior film a questa risata politicamente molto scorretta sull’eutanasia. “Ho fatto un film punk e sono stato premiato da una giuria punk” ha detto il regista ritirando il premio, ringraziando tutti e dicendo di essere stato molto ispirato dal cinema italiano, Marco Ferreri in particolare, mentre una delle protagonista del film, Zazie de Paris, salutava cantando la marsigliese.

Nella serata della cerimonia finale, condotta da Claudia Gerini, sul podio salgono anche altri due film:. Il Gran Premio della Giuria Marc’Aurelio va a “Hævnen – In a better world” di Susanne Bier, mentre il Premio Speciale della Giuria Marc’Aurelio a “Poll” di Chris Kraus.

L’Italia porta a casa il Premio Marc’Aurelio della Giuria al miglior attore che va a Toni Servillo per la sua interpretazione in “Una vita tranquilla” di Claudio Capellini. Con una decisione apprezzata da tutti, il Premio Marc’Aurelio della Giuria alla migliore attrice, invece, è andato collettivamente a tutto il cast femminile di “Las buenas hierbas”. L’iraniano “Dog sweat” di Hossein Keshavarz si è aggiudicato la Targa Speciale del Presidente della Repubblica Italiana al film che meglio mette in rilievo i valori umani e sociali.

GLI ALTRI PREMI. Il Premio Marc’Aurelio del pubblico al miglior film – BNL in Concorso nella Selezione Ufficiale è stato assegnato a “Hævnen – In a better world” di Susanne Bier. Il Premio Marc’Aurelio al miglior documentario per la sezione L’Altro Cinema | Extra è andato a “De Regenmakers” di Floris-Jan Van Luyn. Il Premio Marc’Aurelio Esordienti a Kaspar Munk per “Hold Om Mig”.

I vincitori della sezione Alice nella città sono stati scelti da due giurie, una composta da ragazzi dagli 8 ai 13 anni e l’altra dai 14 ai 17. Le due giurie hanno assegnato il Premio Marc’Aurelio Alice nella città sotto i 12 anni a “I Want to be a soldier” di Christian Molina e il Premio Marc’Aurelio Alice nella città sopra i 12 anni a “Adem” di Hans Van Nuffel.

Già assegnati il Premio Marc’Aurelio alla memoria di Suso Cecchi D’Amico e il Premio Marc’Aurelio all’attore a Julianne Moore.

Bilancio. I numeri premiano questa quinta edizione del Festival del Film di Roma. Sono stati emessi 118 mila biglietti, contro i 102 mila del 2009; l'incasso lordo è stato di 460 mila euro (38 mila nel 2009); gli accreditati sono aumentati da 7.720 a 8.598; l'occupazione media delle sale, infine, è rimasta sostanzialmente stabile al 92%.
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KILL ME PLEASE

di Olias Barco, Belgio 2010 (Le Pacte)
Virgile Bramly, Aurelien Recoing, Benoit Poelvoorde, Bouli Lanners, Saul Rubinek, Zazie de Paris
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Una storia triste, tristissima, da morir dal ridere.

Il dottor Kruger è uno studioso del suicidio. Psichiatra, benestante, vuole creare una struttura dove chi lo desidera, e dopo gli opportuni controlli, può darsi la morte in modo pulito, sereno, con assistenza medica, realizzando addirittura l’ultimo desiderio. Al momento deciso si dovrà bere un preparato che nel giro di tre minuti, e senza possibilità di cambiare idea, darà la morte. I candidati devono mandare un video in cui spiegano le loro motivazioni. Sarà Kruger a scegliere. E’ così che nella lussuosa villa adibita a clinica cominciano ad arrivare un famoso comico con un cancro, una bella ragazza che soffoca se ogni ora non si fa una iniezione, un uomo che si è giocato vita e affetti al gioco d’azzardo, un ragazzo che tenta di suicidarsi da quando ha 7 anni, un obeso rapper, un vecchio cabarettista e altri ancora. Una miscela esplosiva di personalità nichiliste, che tuttavia Kruger riesce a gestire. Fino alla notte in cui scoppia un incendio.

Olias Barco ha diretto il suo primo cortometraggio a 21 anni, nel 1992. Con “Poubelles” nel 1994 ha vinto il premio Rail d’Or alla Settimana della critica al Festival di Cannes e nel 2002 ha diretto il suo primo lungometraggio, “Snowborder”. Questo “Kill me please” è un ritorno fulminante. Girato in uno splendido bianco e nero, con una fotografia che alterna lampi di luce a momenti quasi sfocati, perfetta per sottolineare gli stati emotivi dei personaggi, (fatte le dovute proporzioni) il film ha momenti di comicità pura che ondeggiano tra Mel Brooks e Jim Jarmusch. Una tela di “serietà” e di riflessioni “scientifiche” sulla quale con poche e mirate pennellate il regista disegna follie, strappi, fughe. Su tutto, la morte, che fa sempre di testa sua. (Sa.Sa.)



UNA VITA TRANQUILLA

di Claudio Cupellini. Italia, Germania, Francia (2010)
Toni Servillo, Marco D’Amore, Francesco Di Leva, Juliane Khoeler
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Toni Servillo mette la sua splendida faccia di attore al servizio di questo secondo lungometraggio di Cupellini (“Lezioni di cioccolato”), un noir contaminato da sentimenti e attualità.

Rosario Russo fa lo chef in Germania, vicino Francoforte, nell’albergo ristorante che gestisce insieme con la moglie. Ha una vita tranquilla, clienti che lo apprezzano, un aiuto cuoco che è anche il suo migliore amico, una moglie che lo ama, un bellissimo bambino. Sono 12 anni che è lì, di quello che ha fatto prima nessuno sa. Ma qualcuno ricorda, e un giorno d’inverno due ragazzi italiani, con accento campano, arrivano a chiedere di lui. Uno è Edoardo, figlio di un famoso e potente camorrista. L’altro è Diego, e sbatte in faccia a Rosario un passato che è costato dolore e fatica seppellire. I due ragazzi hanno una missione da compiere. Rosario vuole restarne fuori, vuole salvare la sua vita tranquilla. Ma ormai è troppo tardi.

Cupellini passa dalla commedia al dramma senza perdere efficacia. “Una vita tranquilla”, certo, deve molto all’interpretazione di Servillo, di una bravura assoluta in certi passaggi, ma si regge bene anche da solo. Il regista stende un filo di tensione lungo un racconto (scritto prima della cronaca attuale) che in un drammatico quadro generale (la camorra, l’affare dei rifiuti) inserisce un privato dramma esistenziale (il rapporto di un padre coi figli, l’egoismo, l’istinto di sopravvivenza). Qualche ingenuità nel finale, ma per il momento il migliore dei film italiani visti al Festival di Roma. (Sa.Sa.)


LAS BUENAS HIERBAS
di Marìa Novaro, Messico 2010 (Latinofusion)
Úrsula Pruneda Ofelia Medina Ana Ofelia Murguía Míriam Balderas Cosmo González Muñoz Gabino Rodríguez.

Né ragione né “magia” aiutano di fronte al dolore e alla fine della vita. A Città del Messico Dalia (Pruneda) vive col figlioletto Cosmo, lavora in una radio e colleziona parole prendendo appunti sulla vita. Sua madre Lala (Medina) si occupa del giardino botanico dell’università, è una etno-botanica, studiosa tra scienza e psicologia delle conoscenze ancestrali dell’erboristeria messicana, e colleziona piante. Come la figlia, vive separata dal marito. Ma all’improvviso il suo cervello comincia ad addormentarsi, precipitando velocemente nell’abisso dell’Alzhaimer, che spegne pensieri, ricordi, emozioni. Fa appena in tempo a consegnare a sua figlia le sue ultime ricerche sui rimedi naturali che, secondo la tradizione precolombiana, curano l’anima dell’uomo. Dalia passa presto dalla sorpresa alla speranza alla disperazione, e proprio mentre legge gli appunti della madre sulle piante che aiutano a vivere meglio, la vede sprofondare sempre più lontano dalla vita. Dovrà prendere una decisione, sapendo che non esiste alcuna “erba buona” che possa curare la tristezza di quel momento.

“Las buenas hierbas”, che ha vinto numerosi premi in Sudamerica, è il quinto film di Maria Novaro (“Danzòn”, “Sin dejar huella”), regista e sociologa. E’ un film quasi completamente femminile (oltre alle protagoniste, bella la figura della vicina di casa Blanquita, anziana donna che convive col ricordo e il fantasma della nipote morta anni prima), dove gli uomini sono di contorno, quando non proprio inutili. Le donne. Vere custodi della memoria e degli affetti, messe di fronte allo sgretolarsi della prima e alla disperazione dei secondi. Affascinante, poi, il percorso nell’universo delle piante: ce n’è una per ogni problema, quasi per ogni emozione. Il film è girato (e la storia è raccontata) con delicatezza, quasi trattenendo il fiato per essere ospiti in un privato troppo doloroso. Risolto forse un po’ frettolosamente, quasi a volerne cancellare la sofferenza. Niente fronzoli, sta tutto nell’interpretazione delle attrici: Pruneda ha già vinto un premio, Medina lo meriterebbe. (Sa. Sa.)

IN UN MONDO MIGLIORE
di Susanne Bier, Danimarca 2010 (Teodora film)
Mikael Persbrandt, Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen

Europa e Terzo Mondo a confronto nel nuovo film, "Haevnen. In a better world", “In un mondo migliore” della regista danese Susanne Bier candidato ufficiale della Danimarca all’Oscar e in concorso al Festival di Roma.

Da una parte abbiamo l'Africa, il Sudan e i campi profughi dove il dottor Anton (Mikael Persbrandt) lavora, cercando di salvare vite in mezzo alla violenza delle bande armate. Una volta tornato a casa nella tranquilla Danimarca di provincia la sua famiglia intreccia un'amicizia nata dalla frequentazione dei loro figli. Il suo, buono e arrendevole, che subisce i soprusi dei compagni di scuola, l’altro chiuso e violento che ha appena perso la madre. L'amicizia tra i due bambini mano a mano diventa un'alleanza pericolosa che mette a repentaglio la vita stessa dei due minori. Perché anche da piccoli si può diventare terroristi ed è difficile per le persone adulte e responsabili dare il buon esempio.

“Un mondo migliore” affronta temi importanti, mettendo a confronto due visioni del mondo differenti e nello stesso tempo racconta i rapporti interni alla famiglia. "E' un film che tratta temi molto seri come quello dei bambini – afferma Susanne Bier durante la conferenza stampa - e quindi bisogna creare un rapporto particolare con lo spettatore. Per la parte girata in Sudan abbiamo effettuato molte ricerche, avuto contatti con Medici senza frontiere”. Per quella girata nella nostra società che “pensiamo come idilliaca”, precisa la regista, “abbiamo voluto affrontare questo tema chiedendoci se questo mondo reale è veramente ideale e se questo vale anche per l'infanzia. Anche qui chi crede che un bambino possa fare del male? Ecco che tutto viene ribaltato quando il male produce l'effetto del male su innocenti. Noi pensiamo che il terrorismo venga dall'esterno ma in realtà può nascere da situazioni imprevedibili". Il film è bello ed intenso anche grazie all’interpretazione dei due bambini veramente molto bravi. Se ha un difetto è la lentezza delle sequenze,tipica di un cinema che viene dal nord, ma che si fa perdonare per la capacità di scandagliare situazioni e sentimenti di chi cerca rappresentare “un mondo migliore”. (J .S.E.)