di Sandro Calice STANNO TUTTI BENE
di Kirk Jones. Usa, Italia 2009 (Medusa)
Robert De Niro, Drew Barrymore, Kate Beckinsale, Sam Rockwell, Lucian Maisel, Katherine Moennig, Damian Young, James Frain, Melissa Leo, James Murtaugh.
La famiglia è comunque la famiglia. Ma tra questo film e l’originale “Stanno tutti bene” (1990) di Giuseppe Tornatore con Marcello Mastroianni passa probabilmente la stessa differerenza che passa tra l’idea di famiglia americana e quella italiana.
Frank Goode ha lavorato tutta la vita per assicurare una vita dignitosa alla sua famiglia, la moglie e i quattro figli, David, Amy, Robert e Rosie. Ed è stato sempre convinto che quello fosse il modo migliore, l’unico, di avere una famiglia. Poi tutto cambia. Frank va in pensione, la moglie muore poco dopo, e lui si trova con quattro figli adulti sparsi per gli Stati Uniti di cui all’improvviso si rende conto di sapere pochissimo. Frank ha fabbricato per anni i rivestimenti dei cavi telefonici, quelli che permettono al mondo di restare in contatto. Ma capisce che è sempre stata sua moglie ad aver tenuto in contatti con i figli, con David l’artista, con Amy l’agente pubblicitaria, con Robert il direttore d’orchestra, con Rosie la ballerina. Li invita allora tutti per il weekend. Compra da mangiare, da bere, prepara la casa e il giardino. Ma uno a uno i figli lo chiamano per dirgli che non possono andare. Frank non sta benissimo in salute, forse non ha molto tempo, non può aspettare. Decide che sarà lui ad andare dai figli, uno ad uno. Anche se quel viaggio dovesse per la prima volta fargli finalmente capire la verità.
Kirk Jones (“Svegliati Ned”, “Nanny McPhee – Tata Matilda”) ha una mano gentile, non certo “epica” come Tornatore. Ha subito detto di non aver voluto fare un remake, ma di averci messo del suo. E per contestualizzare ulteriormente la storia, ha anche viaggiato a lungo per gli Stati Uniti intervistando centinaia di persone e visitando i luoghi più diversi. Ci restituisce una riflessione agrodolce sulla famiglia, sulle madri/mogli custodi dell’equilibrio, sui padri che sbagliano a fin di bene, sui figli feriti per paura di deludere, sui legami di sangue che, se vogliamo, sono più forti del destino stesso. Il tutto caricato sulle larghe spalle di De Niro (e del resto dell’ottimo cast), assicurando e facendoci gustare la giusta dose di groppi in gola e occhi lucidi. Resta solo un retrogusto non dolcissimo, come se l’intera operazione fosse un po’ fredda, tecnica, razionale. Ma probabilmente, come dicevamo, è solo che dobbiamo scordarci del film originale ed evitare la tentazione di calare a forza la poetica dei figli “pezzi di cuore” in un Paese come l’America che questa cultura non ce l’ha.