Ermanno Labianca, critico musicale e autore televisivo, è il più accreditato springsteenologo italiano, autore di centinaia di articoli sul Boss, di una fanzine (Follow That Dream) e di svariati libri (su tutti: American Skin, Giunti, e Real World – Arcana, realizzato insieme al fotografo Giovanni Canitano). Ha appena prodotto un doppio cd di cover di canzoni del Boss, For you 2, eseguite da artisti italiani e internazionali, con la sua nuova etichetta discografica la Route 61. A lui Televideo ha chiesto un parere su The promise.
E’ vero che The promise era il mancato disco che avrebbe dovuto collegare Born to run a Darkness?
“E’ una delle tante verità. Di certo suona meno duro e livido di Darkness, ed ha quell’effervescenza rock’n roll e soul di Born to run. Ma quei 21 pezzi non possono essere definiti le outtakes* di Darkness, perché semplicemente non fanno parte di quel disco. Sono state registrate in quel periodo, ma subito dichiarate inadatte a rappresentare lo stato d’animo che Springsteen aveva all’epoca. Io lo percepisco realmente come un disco a se stante”.
Quindi ha ragione Jon Landau, il produttore, a definirlo un nuovo album di Springsteen?
“Sicuramente, ma è più facile percepirlo come un nuovo The River (l’album dell’80, ndr) piuttosto che come un nuovo Darkness. E’ più festoso, più vario. Anche se alcune cose infastidiscono, come ad esempio Patty Scialfa (moglie del Boss e corista della band, ndr) che canta su canzoni che non le appartengono”.
Qual è il senso di questa operazione?
“Più ampio di quanto faccia pensare il titolo. Questo è un album iniziato all’epoca, tenuto fermo trent’anni, e intenzionalmente completato oggi. Eredita le canzoni, il suono ed il lavoro di allora, arricchito con l’esperienza e la saggezza accumulata dalla band in trent’anni”. Anche in Tracks (una compilation di outtakes del 1998) hanno messo le mani sulle canzoni… “Sì, ma non l’hanno detto, e chi non lo sa non ci fa caso. Adesso invece l’operazione è fatta alla luce del sole. Molti dei brani non erano finiti, e quindi Springsteen ha dovuto completarli”.
E’ comunque sempre un’operazione retrò…
“Sì, diciamo che il Boss ha ritirato fuori le canzoni del periodo che l’ha fatto diventare quello che è”.
Ce n’era bisogno?
“Probabilmente lui aveva bisogno di tornare ad immergersi in quel suono, perché è stato lo zenith della sua creatività”.
Springsteen ha detto: “Io non volevo essere ricco o famoso. Io volevo essere grande”. E’ come avesse realizzato adesso quanto grande fosse allora..
“Esattamente. Stava lavorando duramente per diventarlo, senza ancora esserlo. E questa è una finestra aperta sul quel periodo. E dimostra anche che all’epoca lui era in grado di fare quattro album contemporaneamente, quando gli altri ne facevano uno. Fra Tracks (una compilation di outtakes del 1998, ndr), The promise e l’intero Darkness le settanta canzoni che lui aveva inciso all’epoca ci sono tutte”.
Ma un cofanetto così monumentale, non rischia di essere rivolto solo a chi può permetterselo?
“Le persone interessate a queste frange di produzione di un artista sono una minoranza, che è disposta a spendere qualcosa in più per aver un bell’oggetto. E proprio per questo è fatto in maniera così sontuosa. La massa che compra dischi non esiste più. Il dvd dello scorso anno, Live in Hyde park, dopo un mese, aveva venduto negli Usa 27mila copie, che è il pubblico di una qualunque arena. Adesso questo è il mercato. Ormai gli artisti guadagnano con l’attività live”.
Il red carpet è una conseguenza di questo?
“Questa è un’invenzione di Landau che fra Toronto e Roma ha deciso di vendere Springsteen come un fenomeno da film festival, cosa che lui non è”.
* le outtakes sono le canzoni escluse dalla scaletta dei dischi