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L'emozione del primo ciak

Parla Gianfranco Mingozzi, assistente di Fellini ne 'La dolce vita' mingozzi_296

Cosa ricorda del clima di quel primo ciak?
“Una grande emozione, naturalmente”, risponde il regista Mingozzi, assistente di Fellini ne ‘La dolce vita’. “Era il primo film che facevo, dopo essermi appena diplomato al Centro sperimentale, quindi non avevo ancora alcuna esperienza di set. ‘La Dolce vita’ è stato dunque il mio esordio. Per il primo ciak, in realtà, credo di essere stato scelto perché forse sembravo il più giovane di tutta la troupe, anche se non lo ero. All’inizio, eravamo sei assistenti, ma abbiamo finito in due, perché alcuni sono stati cacciati, altri hanno cambiato lavoro o si sono ammalati”.

Avevate la sensazione di lavorare in un film che sarebbe diventato un capolavoro?
“Sin dal primo giorno, per me era tutto una meraviglia, una specie di festa, perché il set di Fellini allora era aperto, cioè non aveva delle gelosie. Forse sentiva di essere nel pieno della creatività e intuiva che stava facendo un’opera veramente di valore. Io non potevo avere la stessa sensazione, per me era comunque importante il fatto di trovarmi sul set con 60 persone, erano tante. In più, venivano spesso a trovare Federico suoi amici, letterati, cineasti, poeti. Era un continuo viavai. All’inizio, però, io mi sono tirato un po’ indietro, perché ero appunto alla mia prima esperienza e non capivo bene quale fossero i compiti di ognuno. Perciò mi sono messo da parte, seguendo molto il lavoro del segretario di edizione, Isa Mari, la figlia di Febo Mari, un grande attore del cinema muto italiano e regista dell’unico film della Duse, ‘Cenere’. Per oltre un mese, ho cercato di capire accanto a lei come funzionasse un set vero. Inoltre, l’aiutavo annotando tutte le inquadrature. Infatti, ho ancora la sceneggiatura, 260 pagine in cui ci sono quasi tutti i ciak del film”.

Quali sono state le sue altre esperienze con Fellini?
“Il secondo film che ho fatto con Federico è stato l’episodio ‘Le tentazioni del dottor Antonio’, con Peppino De Filippo, in ‘Boccaccio 70’. In quella occasione ho avuto la responsabilità della troupe, perché ero il primo aiuto e allora la situazione era già cambiata per quanto mi riguardava. Ero più teso, più attento, insomma meno libero per le tante responsabilità che avevo rispetto a ‘La dolce vita’. Circa gli altri film, feci tutta la preparazione per ‘8 ½’, quasi sei mesi di lavoro. Me ne andai, però, un mese prima dell’inizio delle riprese, perché avevo avuto l’occasione di fare un lungometraggio con Cesare Zavattini, ed era un film sulla Sicilia vista attraverso gli occhi di Danilo Dolci, il poeta e sociologo che allora era candidato al Premio Nobel per la Pace. Così lasciai Federico prima che iniziasse a girare”.

G.C.

Foto Rai Teche