Lei è Presidente onorario del comitato scientifico del neonato Centro studi antiriciclaggio. Cosa pensa di questa iniziativa?
Ritengo molto utile la costituzione di questo Centro studi perché ha per oggetto due leggi che si intersecano tra loro e che sono in continua evoluzione. In primo luogo il decreto legislativo 231 del 2001, che regola la responsabilità amministrativa degli enti collettivi, ovvero la responsabilità in cui possono incorrere società quando non hanno predisposto codici comportamentali per evitare che, se un dipendente commette determinati reati, la responsabilità del singolo possa ricadere sull’ente stesso. Questa legge ha visto aumentare negli anni la tipologia dei reati per i quali gli enti possono subire la sospensione oltre che sanzioni pecuniarie. Uno di questi reati, a parte quelli di associazione mafiosa, truffa, è il reato di riciclaggio, del quale si occupa un altro decreto, il 231 del 2007. Quest’ultima normativa è stata adottata in base alla III direttiva europea e serve a evitare che il sistema finanziario e dei professionisti venga strumentalizzato per coprire fatti di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. Quindi questo Centro studi ha un bel lavoro da fare, non solo esaminare le novità che intervengono su queste due leggi ma anche far conoscere agli interessati le novità preannunciate. E gli interessati sono tanti, dagli istituti bancari o finanziari, alle associazioni, ai professionisti, alle imprese. L’impresa pulita evita che l’economia criminale si infiltri nel mondo imprenditoriale, come purtroppo avviene.
La normativa è sufficiente a far crescere nel Paese una cultura dell’antiriciclaggio ?
In teoria tutte le leggi sono finalizzate anche a incidere sulla cultura del Paese, soprattutto se la gente si rende conto, e lo stesso discorso vale per la contraffazione delle merci, che aderire a questi comportamenti arreca un danno molto grave all’economia dell’Italia. L’impresa è difficile perché l’economia si è globalizzata. La tecnologia ha dato un aiuto ai riciclatori, i quali attraverso gli strumenti tecnologici possono portare all’estero e soprattutto in paesi offshore i loro proventi. E poi la stessa criminalità’ organizzata ormai è invasiva, la troviamo in varie regioni d’Italia, ma anche in paesi stranieri. La presenza variegata delle nostre organizzazioni criminali,secondo ricerche, è stata riscontrata in 47 Paesi, dai latitanti che vi trovano rifugio e impiantano lì delle attività a quelli che ci vanno per svolgere i loro traffici illeciti.
Stime di esperti indicano che i riciclatori possono arrivare nel corso di 24 ore a mettere in piedi fino a 80 operazioni di lavaggio del denaro sporco. Potrebbe accadere quindi che un soggetto onesto possa finire inconsapevolmente in questi meccanismi. Come fare a difendersi?
Si può fare estendendo al massimo la collaborazione internazionale. In Europa funziona bene, in tanti altri Paesi no. Bisogna cercare di rafforzare, con un’opera di propaganda politico-legislativa, l’uso di questa legislazione. Il fatto che la nostra legge sia fondata su una direttiva europea dimostra che in questo territorio vi è una normativa omologa in tutti gli Stati. Ci sono scambi di informazione tra le varie autorità, le Uif, Unità di Informazione Finanziarie, che operano nei vari Paesi. Non bisogna scoraggiarsi, anche se siamo passati dall’epoca degli spalloni e delle vetture imbottite di denaro, usate dai pugliesi per portare i proventi del contrabbando di sigarette in altri Paesi, a sistemi molto più raffinati.
Sembra che ci sia una grande abilità da parte delle organizzazioni criminali a penetrare ogni settore dell’economia, dai supermercati, alle scommesse del lotto, alla ristorazione. E’ così?
Sì , e ci sono anche gli appalti pubblici, il calcestruzzo, il movimento terra, gli insediamenti turistici, le strutture sanitarie private che, se gestite come avvenuto a Locri, a Vibo Valentia, fanno con gli enti pubblici, le Asl, convenzioni vantaggiose. Questi sono i pericoli cui cerca di porre riparo la nostra legislazione antiriciclaggio. Naturalmente noi notiamo che le segnalazioni di operazioni sospette aumentano, ma da parte soprattutto delle banche:a fronte di decine di migliaia arrivate da banche, gli avvocati ne hanno fatto solo 3, e tutti i professionisti messi insieme 136 nel primo semestre del 2010. Come tutte le cose un po’ nuove , bisogna che questa cultura penetri. Non si tratta da parte dei soggetti obbligati di fare gli investigatori, si tratta di conoscere il cliente, di vedere dove indirizza il proprio capitale, qual è la causa di queste movimentazioni, tutte cose delle quali l’intermediario deve farsi carico di accertare quando il cliente va da lui.
Molti chiedono l’introduzione del reato di autoriciclaggio che non è ancora contemplato dalla nostra legislazione. A che punto siamo?
Su questo punto c’è una controversia teorica. Taluni,anche illuminati giuristi, ritengono non si possa punire l’auto-riciclaggio perché è un post factum: Se io ricavo denaro trasferendo sostanze stupefacenti, il denaro che io poi ripulisco viene dopo ed è già assorbito dal reato precedente, che è il traffico di stupefacenti. Altri ritengono, e io tra questi, che sarebbe utile punire anche il riciclaggio commesso dall’autore del delitto dal quale i denari provengono. Altre legislazioni, anche europee, prevedono già questo reato.