Il Centro è nato allo scopo di promuovere studi, ricerche, dibattiti nell’ambito della disciplina dell’antiriciclaggio e compliance. La conoscenza di queste tematiche è fondamentale per la lotta al riciclaggio. Tra le vostre iniziative, prevedete anche corsi di formazione?
Sì. Di antiriciclaggio parlano tutti, ma purtroppo a sapere esattamente di cosa si tratta sono veramente pochi . Vogliamo organizzare corsi finalizzati a spiegare la legge sull’antiriciclaggio, quali sono gli adempimenti per non incorrere nelle sanzioni dettate dalla legge, e nello stesso tempo per spiegare cos’è la “due diligence”, cioè la conoscenza e l’adeguata verifica del cliente, e in particolare la conoscenza del beneficiario dell’operazione, una procedura resa obbligatoria dal decreto legislativo 231. Un caso come quello della Arner Bank, che ha trasferito denaro da una parte all’altra del mondo senza conoscere il beneficiario, oggi non sarebbe possibile. O meglio il comportamento della banca potrebbe essere giudicato sulla base del reato di riciclaggio di denaro di provenienza illecita. Il Centro Studi è collegato con l’università di Strasburgo per realizzare una collaborazione con il corso di laurea in investigazioni finanziarie e analisi. Uno degli obiettivi del Centro è organizzare un convegno a carattere europeo: perché il riciclaggio non si combatte in un solo Paese. Esiste già una direttiva europea, ma occorre uniformare le normative, affinché una banca italiana si comporti come una svizzera e così via.
Le norme sull’antiriciclaggio parlano di collaborazione attiva degli intermediari finanziari e non, banche, associazioni, imprese, e professionisti, notai, avvocati, commercialisti. Di cosa si tratta?
La collaborazione attiva è il principio fondamentale di questa legge. Le investigazioni le fanno Guardia di finanza, Uif (Unita’ di Informazione Finanziaria) Dia e Dna, ma sono gli operatori finanziari che hanno la maggiore conoscenza del cliente e a loro spetta il compito di segnalare eventuali operazioni economiche sospette, quelle dietro cui potrebbero esserci denari di provenienza illecita o comunque poco trasparenti.
Dai dati raccolti dalla Dia emerge che tra i soggetti obbligati a segnalare eventuali anomalie, i meno collaborativi sono commercialisti, avvocati e notai. Da loro arrivano pochissime segnalazioni alla Uif.
E’ vero, ma attenzione. Avere un numero spropositato di segnalazioni, non significa che il sistema funziona. Al contrario. Qualche giorno fa si parlava di 105 mila segnalazioni negli ultimi 5 anni. Questo dato può essere letto in due modi: o noi siamo un Paese di riciclatori o il sistema non funziona. E’ meglio avere poche segnalazioni, ma concrete. Nel 2006, ci furono 15 mila segnalazioni da parte di intermediari, 3 di commercialisti, 1 di avvocati e 163 di notai, solo che di queste ultime,156 furono le segnalazioni di un solo avvocato. Quel notaio voleva suggerire che presa alla lettera l’obbligatorietà può portare a un ingolfamento del sistema, perché per non sbagliare potrebbero essere segnalate tutte le operazioni come sospette, e in tal modo non ci sarebbe possibilità di smaltire mai tutte le segnalazioni. Bisogna evitare la moltiplicazione di segnalazioni che non portano a nulla, perché in tal modo si risparmiano anche energie e risorse.
Ma non c’è una griglia di indicatori? Quali sono gli elementi per far scattare il sospetto?
Il ricorso a società fittizie, la capacità patrimoniale, l’area geografica del cliente e quella della società sono indicatori fondamentali. E poi anche il ricorso frequente all’uso del contante, anche se il limite dei 5.000 euro per il contante spinge i riciclatori a preferire altri modi per movimentare il denaro:nessuno porterà in banca o preleverà grandi quantità di denaro perché sa di essere segnalato. L’intervento più decisivo per contrastare il riciclaggio è comunque quello sulla verifica del beneficiario economico e dove sono collocate le società. La verifica del beneficiario si fa controllando la capacità patrimoniale, la condotta, il reddito. Il sistema va monitorato soprattutto per quel che riguarda le movimentazioni dall’Italia verso l’estero. Queste sono le segnalazioni che servono. Non si possono trasferire soldi all’estero se non si conosce il beneficiario, così come vanno segnalati i trasferimenti verso società che si trovano nei Paesi compresi nella black list. Gli indicatori devono essere molti più ristretti. Diversamente può sembrare che tutto venga monitorato, mentre non è monitorato proprio niente, perché passa di tutto. Occorre fare comparazioni per valutare se il sistema funziona. Ad esempio, comparando tipologie di reato commessi in un territorio e le segnalazioni che arrivano da banche, professionisti e intermediari si possono ricavare notizie interessanti sul sistema:se in una regione si evidenzia una corruzione impressionante, mentre le segnalazioni da banche e professionisti sono poche, vuol dire che il sistema non funziona.
La legge prevede un responsabile dell’antiriciclaggio. Un po’ come i responsabili della sicurezza sul lavoro previsti dalla legge 626?
Sì. La funzione dei responsabili dell’antiriciclaggio deve essere mirata non tanto alle verifiche fiscali, visto che per l’evasione fiscale ci sono già delle norme che puniscono il reato. La legge 231 serve soprattutto al contrasto di quelle masse economiche che drogano il mercato. Un esempio di come si avvelena il mercato? Ad esempio quando una cosca mafiosa compra centinaia di appartamenti in una determinata località, per ripulire il denaro sporco, fa lievitare il prezzo del mercato delle case in quella zona e con quello può modificare anche l’aspetto sociale di intere zone. La lotta al riciclaggio va fatta soprattutto sulle grandi masse di denaro che drogano il mercato.
Un riciclatore esperto può arrivare a fare decine di operazioni in un giorno per ripulire una somma di denaro illecito. E’ così?
Sì. Il denaro prima di giungere sul mercato legale può essere ceduto attraverso fatture per operazioni inesistenti a una società, la quale può essere collegata una società fiduciaria inglese che a sua volta trasferisce denaro per l’acquisto di un terreno in un altro Paese. Questo terreno viene poi ceduto a un’altra società e così via di seguito. In sostanza è possibile fare tanti atti formali che ripuliscono il denaro, in modo tale da non poter risalire all’origine del denaro sporco. La difficoltà dell’antiriciclaggio è proprio quello di risalire al denaro di provenienza illecita attraverso tutta una serie di atti legittimi, compravendite, cessioni,costituzioni di società,una filiera di atti legittimi che necessita della collaborazione dei diversi soggetti che vi intervengono. La priorità quindi e’ quella di creare una cultura dell’antiriciclaggio. Questa è una delle finalità del Centro Studi, da realizzare anche con una stretta collaborazione delle università. La mafia si combatte soprattutto arruolando mille maestri elementari.
Com’è invece la situazione per quanto riguarda il finanziamento al terrorismo. Perché c’è molta attenzione sui Money transfer?
Perché sui Money transfer fino all’introduzione dell’art. 49 del 231 non c’erano controlli. Tanto che nel giro di un anno e mezzo sono passati da 600 a 12.000. Lo straniero poteva trasferire una somma fino a 12.000 euro da una parte all’altra del mondo e ripetere la stessa operazione in diversi Money Transfer, movimentando centinaia di miglia di euro. Non era soggetto a regole antiriciclaggio, sotto i 12.000. Oggi la norma prevede la possibilità di trasferire solo fino a 2.000 euro, per cifre superiori occorre portare l’attestazione di un contratto di lavoro, per dimostrare la provenienza del denaro che si deve trasferire. In questo modo vengono monitorati tutti i passaggi di denaro dall’Italia verso l’estero. Ma la differenza sostanziale con il riciclaggio è che qui il denaro non è necessariamente di provenienza illecita e quindi è più difficile individuare i finanziatori, perché qualunque persona può finanziare un’associazione, un movimento terrorista.