di Carla Toffoletti
Il 25 novembre è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne…
La violenza sulle donne passa attraverso tanti canali, anche da quelli di discriminazione che ci sono sul lavoro e nella società, ma siamo anche in emergenza di violenza nel senso fisico puro. Il numero di assassini, di effetti di stalking, di un’idea che si possa sempre avere nei confronti delle donne un rapporto violento, che va dalla violenza sessuale alla violenza fisica, è impressionante.
Come se ne esce?
Riconoscendo la violenza come tale, senza costruire alibi, giustificazioni o attenuanti, riconoscendo anche la violenza che si svolge nelle mura domestiche, e soprattutto cambiando il regime culturale. Non indulgendo mai rispetto a tutti quei comportamenti che rendono una donna oggetto piuttosto che soggetto a pieno titolo.
La violenza sulle donne passa anche attraverso la discriminazione sul posto di lavoro.
Ci sono tre ordini di discriminazione. La maternità che penalizza perché si presuppone che ci renda meno affidabili o meno impegnate nel mondo del lavoro. Questa porta con se la discriminazione nella carriera e nel differenziale salariale. Ce n’è purtroppo un’altra che fa parte di questa cultura generale, che, soprattutto in una stagione di precarietà e di difficoltà, si può esercitare nella forma di molestie, di mobbing, di quel sottile confine tra un rapporto professionale lavorativo e la richiesta di favori non meglio precisati. Inoltre prima di riconoscere a una donna che ha le competenze e le capacità, deve essere molto meglio dei suoi colleghi uomini.
Come rafforzare il ruolo della donna nel mondo politico, economico e sociale?
Ci vuole un vero ed effettivo riconoscimento della cittadinanza delle donne.Bisogna rendendosi conto che le donne fanno tanti lavori, mai solo quello del mercato, e che la loro presenza nel mondo del lavoro vuol dire produrre altro lavoro, per cui serve un welfare qualificato. Non si possono sommare solo sulle donne tutti i carichi, ma siccome ci sono delle cose insormontabili, come la capacità e attitudine delle donne nel tenere le relazioni, il concetto della cura inteso come “tenere insieme”, e assolutamente evidente che non si può avere un’idea del lavoro che progressivamente è sempre più invasiva del tempo, e soprattutto non può essere il tempo che si dedica a “stare al lavoro”, che è cosa ben diversa dallo stare a lavorare , l’ unico metro per valutare la professionalità. Più aumenta l’invasività del tempo come criterio di professionalità, più le donne saranno discriminate.
Crede nelle quote rosa?
Io credo nella parità. I grandi fenomeni di trasformazione dipendono molto dall’esempio che dà la politica, e io penso che la politica dovrebbe finalmente riconoscere che siccome nel nostro paese il 52% è femmina, quantomeno ci vorrebbe una rappresentatività paritaria.
Lei ha dichiarato che “la condizione della donna è il metro di misura della democrazia di un paese”. Come è messa l’Italia?
Siamo messi molto male.
Cosa si sente di dire alle donne nella giornata contro la violenza nei loro confronti?
Che è una giornata importante, in cui affrontare anche il tema della violenza della parola e dei comportamenti e che bisogna ripartire dalla capacità di indignarsi e non farne più passare.