di Rita Piccolini
“Il discorso non è facile”, così esordisce De Rita presentando il nuovo rapporto sulla situazione sociale del Paese. Il presidente premette infatti che questa volta il suo sarà un discorso “filosofico” , (più che di analisi di dati economici concreti che del resto abbondano nello studio), un’analisi sociologica, persino a tratti psicanalitica, tesa a fotografare una società che slitta sotto un’onda di pulsioni sregolate.
Ci si può quindi sentire liberi per una volta dalla domanda di rito su cosa ci sia dietro l’angolo, interrogativo scontato per chi redige o legge un rapporto socioeconomico a cadenza annuale, per domandarsi invece dove stia andando la nostra società.
E’ passato un decennio travagliato, spiega De Rita, cominciato con l’attacco alle Torri gemelle di New York nel 2001, da cui si è sviluppata una crisi economico-finanziaria che ha travolto il mondo e che ha avuto il suo culmine nell’ultimo biennio. Paradossalmente ci siamo abituati a questo tipo di crisi economica, siamo in qualche modo vaccinati. Ma come reagire all’appiattimento in atto nella nostra realtà sociale? Come vincere la disillusione, il cinismo, il senso di vuoto e di scoraggiamento che investe un po’ tutti e in modo drammatico le nuove generazioni?
“Non c’è vigore” in questa società, afferma De Rita: c’è poco spessore culturale, intellettuale, emotivo, progettuale, programmatico. “Siamo narcisi e cinici allo stesso tempo, perché interessa soltanto la dimensione strettamente personale. “C’è un primato della soggettività non governata che va a disperdersi nell’insensatezza”.
Una società piatta come la nostra fa franare tutti i soggetti presenti in essa e in particolare la loro capacità e il loro vigore soggettivi e aumenta la “sregolazione pulsionale”: il consumo di droghe, il ritiro libidico dei depressi, l’ipnosi narcisistica dell’anoressia ne sono un esempio. Siamo metaforicamente “una società anoressica”, appagata di tutto ma senza più desideri e che si difende con il rifiuto. A questo corrisponde una verticalizzazione del potere a cui deleghiamo, privi di un senso di appartenenza, per cui tende a prevalere l’individuo sulla realtà sociale. L’appiattimento della società, continua impietoso De Rita determina una orizzontalità pasticciata: una società che è di poco significato, se il soggetto non si sente significante.
“Il deserto cresce ” ’avrebbe detto Heidegger. “Sono franati in basso i rilievi alti e nobili della nostra vita sociale e sociopolitica (l’eredità risorgimentale, il laico primato dello Stato, la cultura del riformismo, la stessa fede in uno sviluppo continuato e progressivo)…C’è la diffusa desublimazione di archetipi, di ideali, di figure di riferimento …La perdita di consistenza dei legami e delle relazioni sociali a tutti i livelli che condannano i singolo all’isolamento…Sono franati in basso i riferimenti della collocazione temporale e spaziale della vita quotidiana…La post-modernità, la globalizzazione la planetarizzazione hanno creato un mondo in cui il tempo è azzerato, così pure lo spazio, dove si sfarinano i significati che sempre le distanze e i tempi hanno creato nella vita dei singoli e dei popoli”.
Nasce quindi l’insicurezza, che è il vero virus di questi anni. Si chiede più ordine (dalle ronde alle leggi sull’immigrazione, per placare l’ansia): ”Leggi securizzanti e promozione del merito”. Ma sono soluzioni “primordiali”e troppo “razionali” per contrastare un’insicurezza che ha risvolti importanti di irrazionalità. Bisogna invece scendere a verificare come funzionano l’inconscio individuale e la soggettività collettiva.
Non funziona più il nostro inconscio collettivo, insiste De Rita, il luogo dove c‘è la maturazione costante tra le aspirazioni e l’autorità, tra la legge e il desiderio. E se la legge non conta e cade l’autorità , dalla figura paterna allo Stato, dal dettato religioso alla stessa coscienza, svanisce il desiderio, perde di forza, c’è “caduta di libido”.
”Senza desiderio non c’è inconscio- leggiamo nelle considerazioni generali del rapporto- non si attiva ed alimenta quel giuoco di confronto con la legge che può dare anche divieti, rimozioni, nevrosi, ma che è essenziale per modulare lo svolgimento di una vita”.
Come non pensare, davanti alla profondità di una tale analisi, ai nostri figli? Ai nostri bambini vengono regalate montagne di giochi che non desiderano. C’è un primato dell’offerta che sazia e priva del desiderio. Pensiamo alle università continua De Rita:” I corsi di laurea attualmente offerti sono 3.200…è spaventoso”. Come orientarsi? Per le generazioni precedenti c’erano Giurisprudenza, Architettura, Filosofia. Venti o più esami da sostenere in un arco di anni. Ora è tutto frazionato. L’offerta è talmente alta da diventare indistinta . Non a caso c’è un boom di iscritti ad Antropologia culturale, forse perché i ragazzi vorrebbero confrontarsi con realtà diverse e vagheggiare altre dimensioni.
Ma cosa ce ne faremo poi di tanti antropologi? Oppure si va a sottoporsi all’autorità delle università americane. Del resto Marcuse lo aveva spiegato già negli anni Sessanta che la crisi del capitalismo avanzato sarebbe nata da una eccessiva offerta che avrebbe reso tutto indistinto e poco desiderabile.
Come reagire? I peggiori di noi, sostiene De Rita,si adagiano in quel “non c’è nulla da fare” che è la reazione più rancorosa che si possa immaginare , certamente la più inutile. E’ necessario invece ridare senso alle figure di riferimento, quella paterna ad esempio, e dare senso allo Stato, alla comunità, alla società. E poi bisogna rilanciare il desiderio. “E’ un’esortazione profetica- scherza il presidente del Censis - Torniamo a desiderare…Usciamo dal narcicinismo (neologismo nato dall’unione tra narcisismo e cinismo).Poi citando Leopardi conclude: la gioventù è il desiderio dei desideri”.