Eccellenze regalate, perdita secca per il Paese


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Ogni cervello in fuga vale 148 milioni di euro

Fondazione Lilly e Cariplo mettono a disposizione 360 mila euro per trattenere in Italia i migliori ricercatori g

di Maurizio Righetti

L’esportazione delle “intelligenze” dovrebbe essere un punto d’orgoglio per un paese. E l’Italia non ha eguali nel comparto. Specie nel settore medico, dove gli ultimi 4 Nobel ‘tricolori’ sono stati premiati sempre per la loro opera in strutture sanitarie e di ricerca non italiane. Ma il fatto drammatico è che il lavoro intellettuale di qualità porta benefici economici molto rilevanti ai paesi di destinazione e non a quelli di partenza. E, al contempo, non c’è un movimento in senso inverso: l’Italia non attrae i ricercatori più quotati. La Fondazione Lilly, oggi con l’intervento della Cariplo, prova ad invertire la tendenza promuovendo da qualche anno “La ricerca in Italia: un'idea per il futuro”, una borsa di studio da 360 mila euro da utilizzare in 4 anni. Ad aggiudicarsi il premio, nell’edizione 2010, è stata una giovane ricercatrice, la trentenne Tiziana Vavalà, oncologa dell’Università di Torino, originaria di Catanzaro, che lavora ad un progetto di personalizzazione delle cure tumorali in base alle caratteristiche genetiche dei pazienti.

Dal 1989 ad oggi l’Italia ha perso 4 miliardi di euro
Proviamo a vedere, in termini concreti, cosa significhi per il nostro paese la fuga dei ricercatori (centinaia ogni anno) che se ne vanno per trovare laboratori che sostengano i loro studi e ne premino il merito. Lo studio effettuato dall’ICom (Istituto per la Competitività) e presentato in occasione dell’evento organizzato dalla Fondazione Lilly in Senato, dice quanti soldi siano fuggiti insieme ai cervelli: dal 1989 ad oggi l’Italia si è lasciata scappare circa 4 miliardi di euro, cedendoli ai paesi che hanno accolto i nostri talenti, primi tra tutti gli Stati Uniti, seguiti da Francia e Svizzera nella classifica dei primi 20 cervelli italiani all’estero. Lo studio ha effettuato una valutazione della fuga dei top scientist: ha preso in esame gli ultimi 20 anni, durante i quali sono stati depositati 155 domande di brevetto di cui l’inventore principale è nella lista dei top 20 italiani all’estero mentre 301 è il numero totale di brevetti a cui i nostri hanno contribuito come membri del team di ricerca. Il valore attuale dei brevetti diretti dai top 20 italiani fuggiti all’estero è di 861 milioni di euro netti e su 20 anni il dato si attesta a 2 miliardi di euro netti. Se si considerano invece tutti i brevetti (inventore principale o membro del team), arriviamo ad un valore di 1,7 miliardi euro e a 3,9 miliardi di euro nell’arco degli ultimi 20 anni, cifra che può essere paragonata all’ultima manovrina correttiva dei conti pubblici annunciata dal governo qualche mese fa. “E’ un vero peccato, soprattutto se consideriamo che i ricercatori italiani sono tra i migliori al mondo”, afferma Patrik Jonsson, Fondazione Lilly. I flussi di cassa generati rappresentano le ricadute economiche per quei paesi che hanno sfruttato la potenzialità dei talenti italiani fuggiti.

Il 35% dei 500 migliori ricercatori abbandona l’Italia. Il caso di Napoleone Ferrara
Il 35 per cento dei 500 migliori ricercatori italiani nei principali settori di ricerca abbandona il paese, fra i primi 100 è addirittura uno su due a scegliere di andarsene perché in Italia non riesce a lavorare. La regione italiana che ha ceduto più talenti è la Lombardia: si è lasciata sfuggire 704 milioni di euro, come valore attuale dei suoi brevetti, e circa 1,7 miliardi di euro dal 1989 ad oggi. Nella top 20 dei migliori ricercatori italiani che oggi lavorano all’estero, su cui si basa lo studio presentato, compaiono la migliore scienziata donna, il ricercatore più giovane e il più eclettico. Tra i 20 anche Napoleone Ferrara, l’ultimo dei Lasker Awards per la ricerca clinica (l’ambito premio internazionale che spesso prelude ad un Nobel), che è tornato in Italia dopo il prestigioso riconoscimento proprio per partecipare all’incontro avvenuto in Senato.

Ferrara ha ricevuto il Lasker per i suoi studi su un farmaco che blocca la perdita della vista nei pazienti con degenerazione maculare senile umida, patologia che in passato conduceva alla cecità totale; nel 1988 ha lasciato Catania, dove è nato e ha studiato, per approdare negli Stati Uniti e oggi è il secondo migliore ricercatore italiano in termini di pubblicazioni e di impatto scientifico. Ferrara, che rappresenta un caso illustre di cervello in fuga, ha ricevuto dai senatori Antonio Tomassini e Ignazio Marino un riconoscimento ufficiale per il contributo dato al sensibile miglioramento del trattamento dei pazienti.

Ricercatori italiani, impressionante eccellenza produttiva
“In rapporto alla scarsità di stanziamenti e al fatto che in Italia il numero sia più basso rispetto agli altri principali Paesi del G7 (da noi sono complessivamente 70.000, in Francia 155.000, in Regno Unito 147.000, in Germania 240.000, negli USA 1.150.00, in Canada 90.000 e in Giappone 640.00) - spiega Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale - i nostri ricercatori possiedono un indice di produttività individuale eccellente con il 2,28 % di pubblicazioni scientifiche”. L’Italia è terza dopo l’Inghilterra (3,27%) ed il Canada (2,44%). Dopo di noi ci sono, in ordine, gli Stati Uniti (2,06%), la Francia (1,67%) la Germania (1,62%) e il Giappone (0,41%).

“E’ estremamente lodevole - secondo Lenzi - l’iniziativa intrapresa dalla Fondazione Lilly che premia i progetti di ricerca dei migliori scienziati italiani, usando il riconosciuto sistema ‘peer review’, perché ci permette di mantenere nel nostro Paese i talenti migliori che, altrimenti, andrebbero a fare le loro scoperte all’estero. Si tratta di un modello da replicare ed ampliare e imitare”.

Antonio Tomassini: “Determinante la collaborazione pubblico-privato”
“Comincia finalmente ad essere sconfitto il tabù del rapporto pubblico-privato e si inizia ad intravedere una sinergia positiva. Sarà possibile, così come avviene oggi, riconoscere la vera meritocrazia attraverso il percorso del giudizio tra pari (peer review) e la ricerca finalmente verrà particolarmente dedicata alla traslazionale e, nel campo della salute, a quelle patologie che, se trascurate, potrebbero far crollare nel tempo i sistemi sanitari di tutto il mondo” afferma Antonio Tomassini, presidente della commissione Sanità del Senato. “Se da un lato si chiedono impegno e sinergia all’industria ed al privato - chiarisce Tomassini - altrettanto la politica dovrà adoperarsi con azioni concrete perché ai frutti della ricerca corrispondano incentivi, riconoscimenti della proprietà intellettuale e facilitazioni alla produzione industriale per chi decide di stabilirsi e svilupparsi nel nostro paese”. Per Concetto Vasta, Fondazione Lilly, “la ricerca in Italia ha avuto pochi fondi e in campo farmacologico l'ultimo farmaco di successo ‘targato Italia’ risale a quasi 20 anni fa; purtroppo il nostro sistema universitario non sempre ha premiato i più meritevoli e soprattutto non li ha sostenuti economicamente: è impensabile credere di trattenere nel Paese ricercatori di talento pagandoli poco e non dando loro le risorse necessarie” a portare avanti gli studi. “Se Napoleone Ferrara fosse rimasto in Italia - sottolinea Vasta - con il frutto delle sue ricerche e dei suoi brevetti avrebbe potuto ricostruire da zero la sua università”.

La fuga di una scienziato specializzato in farmaceutica ci costa più di 200 milioni
Ma quanto costa al nostro paese lasciare scappare oggi un giovane talento della ricerca? Secondo lo studio dell’ICom’, la valutazione della potenziale perdita di valore è quantificabile in 63 milioni di euro attuali per ogni giovane top scientist che il sistema della ricerca italiana si lascerà sfuggire. Se invece consideriamo la durata totale media di produzione scientifica, la quantità crescerebbe sino a 148 milioni di euro netti (arrivando a più di 200 milioni per uno scienziato specializzato in farmaceutica).

Per questo ha particolare significato l’iniziativa della Fondazione Lilly che quest’anno ha avuto come tema “Sviluppo di nuovi biomarcatori per le patologie neoplastiche: tumori solidi”. Nel 2010 ben 21 centri oncologici italiani hanno risposto al bando, presentando 31 progetti (oltre il doppio rispetto ai 16 sottoposti nel 2009). Tredici progetti sono arrivati da ricercatori del Nord, altrettanti dal Centro, cinque dal Sud; nell'85 per cento dei casi portavano la firma di una donna e, proprio come l’anno scorso, il premio è andato ad una ricercatrice. Grazie alla borsa, Tiziana Vavalà studierà i nuovi orizzonti delle cure oncologiche basate sulla farmaco genomica.

Tiziana Vavalà; “Fare ricerca in Italia è un’avventura”
“Nell’ambito del tumore al polmone oggi non esistono studi di farmacogenomica nei pazienti anziani” spiega l’oncologa “Il progetto di ricerca permette la scelta del trattamento sulla base delle indagini di farmacogenomica con l’obiettivo di scegliere la terapia migliore per il singolo paziente ottenendo il massimo del risultato in una popolazione di pazienti nel quale le possibilità di cura sono limitate”. La ricercatrice potrà svolgere il suo lavoro nel migliore dei modi. “Se dovessi guardare al percorso fatto fino ad ora direi che l’aspetto più faticoso è la continua necessità di spostarsi e cambiare città: da Catanzaro sono andata a Roma, poi a Milano e ora a Torino. Fare la ricercatrice qui in Italia, è quasi un’avventura, non un incentivo, non un incoraggiamento, è quasi un atto di coraggio”

Ignazio Marino: “La cultura del merito sarà la vera rivoluzione”
“Considero l'iniziativa della Fondazione Lilly un segnale importante per i tanti giovani ricercatori che scelgono di non abbandonare al suo destino il nostro paese impegnandosi, nonostante il clima poco incoraggiante, a costruire sapere, conoscenza e ricchezza per l'Italia che verrà” afferma il senatore Ignazio Marino. “Ho introdotto la peer review, la valutazione tra pari, nei bandi per l'assegnazione dei fondi destinati ai ricercatori under 40 e mi sono impegnato perché il criterio, con la riforma 'Gelmini', fosse esteso a tutti i fondi pubblici per la ricerca. Sarà la cultura del merito la vera rivoluzione".

Per l’anno prossimo una borsa di studio sull’Alzheimer
Da quest’anno anche la Fondazione Cariplo sosterrà il progetto in collaborazione con la Fondazione Lilly partecipando alla borsa di studio del 2011 il cui bando ha per tema: “Sviluppo di nuovi biomarcatori per la diagnosi precoce della Malattia di Alzheimer”. “L’importanza di questa iniziativa congiunta - spiega Giuseppe Guzzetti, presidente Fondazione Cariplo - prescinde dal mero dato del contributo finanziario. Si tratta infatti di una occasione importante dal punto di vista metodologico e contenutistico. La collaborazione tra enti che hanno a cuore il futuro della ricerca nel nostro Paese è un modo corretto per impostare percorsi virtuosi che vedano al centro la meritocrazia, la qualità scientifica e il dinamismo dei nostri giovani scienziati”.