di Emanuela Gialli
Oltre 250 mila nuovi casi Italia e più di 8 miliardi di euro spesi nel 2009: questi i dati che descrivono l’incidenza socioeconomica della malattia del cancro. Il 70% delle persone colpite ha più di 60 anni. Alla fine degli anni ’70 la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi era del 33%, salita al 47% nei primi anni ’90 ed oggi intorno al 50%. Chirurgia, chemio e radioterapia sono gli step di un lungo percorso che ogni paziente deve intraprendere, per raggiungere l’obiettivo della guarigione, nella migliore, ma anche meno frequente, delle ipotesi, o della cronicizzazione della malattia. I Centri ospedalieri italiani sono all’avanguardia nella cura dei malati di cancro. All’ospedale “Le Molinette” di Torino è entrato in funzione un nuovo apparato di radioterapia in 6D. Nell’intervista al direttore del Reparto di Radiologia, Umberto Ricardi, si cerca di spiegarne l’utilità e gli effetti benefici.
L’evoluzione delle tecniche chirurgiche, della farmacologia e delle strumentazioni radioterapiche hanno migliorato le aspettative di vita dei malati di cancro. Ma nell’immaginario collettivo è forse la radioterapia a simboleggiare l’idea della distruzione del male: come un laser colpisce il bersaglio e lo frammenta, disintegrandolo. Non sempre è così, però. Perché la radioterapia a volte arriva al termine del percorso, quando si sono già raccolti i risultati positivi di chemio e/o chirurgia., o durante l’evoluzione della malattia, per alleviare le sofferenze causate dal diffondersi del tumore. In entrambe le ipotesi, la tecnologia impiegata aiuta. E molto.
Professor Ricardi, cos’è la radioterapia in 6D?
Premetto che il trattamento di radioterapia negli ultimi anni ha registrato una costante innovazione tecnologica. Nell’ambito di un progresso così importante, oggi le apparecchiature hanno come aspetto fondamentale la possibilità di utilizzare delle immagini per la verifica diretta nella sala in cui viene trattato il paziente della centratura della regione neoplasica. Quella di Torino, da poco inaugurata come prima installazione italiana, oltre alla visione del punto in 6 dimensioni, ha uno strumento in più rispetto agli altri per correggere la centratura. E’ un lettino robotizzato che, grazie alla Tac eseguita al momento, consente di modificare le coordinate della “puntatura” della massa.
In quali casi si può utilizzare questa tecnica?
Preferibilmente quando si è di fronte a scenari di radiochirurgia o di radioterapia stereotassica, quando cioè i tumori hanno volumi contenuti, sono piccoli. Vengono somministrate dosi molto importanti di radiazioni, in modo da provocare la necrosi radiologica, noi parliamo di radio-ablazione, della neoplasia. Di fatto si può sostituire all’intervento chirurgico. Ecco perché viene chiamata anche “radiochirurgia”. Questo tipo di trattamento può essere considerato in situazioni che riguardano tumori cerebrali, primitivi o secondari, polmonari, preferibilmente allo stadio iniziale e ancora in tumori epatici. In tutti i casi, è essenziale una selezione accurata dei pazienti da parte dei medici specialisti competenti.
Come per la “tradizionale” radioterapia, sono necessarie più sedute oppure potrebbe risolversi anche un unico trattamento?
Con questo macchinario si rivoluziona il modo di somministrare la radioterapia. Normalmente si procede con quello che noi chiamiamo “frazionamento convenzionale “, quindi con piccole sedute quotidiane. Quando invece parliamo di radiochirurgia intendiamo la somministrazione in una o poche - due, tre, massimo cinque - sedute di radiazioni, in dosi molto elevate. Ovviamente non si può applicare a tutta l’oncologia radioterapica. Occorre sempre una selezione puntuale e interdisciplinare del paziente.
Quanto incide il costo dell’utilizzo di questa apparecchiatura nella scelta dei pazienti cui destinare il trattamento? La domanda è un po’ brutale.
Ma legittima. Partiamo dal costo dei cosiddetti “acceleratori lineari”. Le normali attrezzature radioterapiche costano circa 2 milioni di euro. Quelle di ultima generazione, come la nostra a “Le Molinette”, tra i 3 e i 5 milioni. A carico del Servizio Sanitario nazionale.
Ma a questi maggiori costi corrisponde un risparmio ad esempio sul piano dei trattamenti chemioterapici?
Assolutamente sì. Ciascuna di queste apparecchiature ha una vita media di 8 anni e tratta parecchie centinaia di pazienti all’anno. Questo è importante perché ogni anno il bilancio può essere confrontato con quelli che sono i soldi spesi per i farmaci chemioterapici dalle aziende sanitarie. E comunque vorrei sottolineare che il contributo di spesa sanitaria per questo modulo radioterapico è decisamente limitato rispetto a quello per i farmaci chemioterapici. Queste apparecchiature sono costose al momento dell’acquisto, ma hanno dei costi di ammortamento che sono favorevoli, se paragonati ad altri settori oncologici.
E’ più tossica la radioterapia o la chemio?
A volte si devono usare entrambe, in determinate tipologie tumorali, per avere maggiori chances di guarigione. Ciascuna terapia ha i suoi effetti collaterali. La distinzione da fare è che la chemioterapia è un trattamento sistemico, mentre la radioterapia è un trattamento loco-regionale. E comunque non sarebbe corretto dire quale delle due sia migliore o peggiore.