Atlante delle crisi


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Minsk-Mosca, un rapporto d’amore-odio

La recente crisi sulla vendita dei beni energetici oleodotto_amicizia_296

Il presidente bielorusso Aleksander Lukashenko ha sempre goduto del sostegno di Mosca, da cui ha ricevuto aiuti consistenti, ma è inviso all’Occidente, tanto che la passata amministrazione americana lo ha definito “l’ultimo dittatore europeo” inserendo la Bielorussia nel cosiddetto “asse del male”.

Oggi l’asse Minsk-Mosca vacilla sempre di più. Il capo del Cremlino, Medvedev, ha usato toni duri contro l’alleato, accusandolo di avere usato “un’isterica retorica anti-russa”. Lukashenko ha denunciato le “ingerenze” di Mosca, che a suo dire finanzia esponenti dell’opposizione. Medvedev non perdona il mancato riconoscimento dell’indipendenza dalla Georgia delle repubbliche secessioniste di Abkhazia e Ossezia meridionale. Il governo di Mosca è da sempre uno sponsor delle due repubbliche, indipendenti de facto da quasi vent’anni, e si oppone strenuamente al nuovo corso filo-occidentale di Tbilisi, unica vera spina nel fianco in una regione dove l’influenza della Russia è ancora notevole.

Gli ultimi anni dell’idillio tra Mosca e Minsk sono stati offuscati da una ricorrente crisi sulle forniture energetiche, simile a quella che oppose la Russia all’Ucraina. Gazprom chiese un aumento del prezzo del greggio venduto alla Bielorussia, in base alle condizioni di mercato e non ai prezzi di favore di sovietica memoria. Minsk rispose ritoccando le tariffe del petrolio che passa attraverso l’”Oleodotto dell’amicizia”. Entrambi dovettero alla fine cedere, ma Lukashenko minacciò di chiudere i rubinetti del greggio diretto in Europa occidentale e di uscire dall’unione doganale, entrata in vigore nel dicembre 2009.