Il saggio di Maurizio Costanzo ed Enrico Vaime


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Memorie dal bianco e nero

Quando la nostalgia è anche un po’ rimpianto

di Rita Piccolini

Il saggio di Maurizio Costanzo ed Enrico Vaime è stato presentato la settimana scorsa a Viale Mazzini con la partecipazione di numerosi protagonisti di quella che fu la stagione d’oro della televisione italiana, dalla nascita, nel gennaio del 1954, fino a tutti gli anni ’70, quando la televisione trasmetteva ancora in bianco e nero e tutti i programmi , anche quelli più leggeri cosiddetti di intrattenimento, erano di qualità altissima.

Ma nel libro c’è soprattutto la storia di un’evoluzione dei generi televisivi che ha nel corso di un cinquantennio cambiato il rapporto degli spettatori con la televisione. I linguaggi sono cambiati: non ci sono più gli sceneggiati tratti da famosi romanzi (purtroppo! furono infatti lo strumento per far conoscere anche ai meno acculturati opere importanti della letteratura italiana e straniera); ora ci sono i serial televisivi, oppure le soap-opera o le situation commedy. Non esiste più il varietà, il cui nome ha un sapore antico, di tempi in cui il sabato sera si stava quasi sempre a casa e generazioni diverse si riunivano davanti alla tv per ridere degli sketch di comici famosi , da Aldo Fabrizi a Paolo Panelli, da Bice Valori a Franca Valeri, solo per citarne alcuni, o per commentare con ammirazione quanto fossero belle le gambe delle Kessler o delle Plus Belles, che ballavano con eleganza , fasciate da body luccicanti , senza tuttavia mai essere volgari o ammiccanti perché si sa, il sabato sera anche i più piccoli potevano assistere ai programmi infrangendo la rigida regola settimanale del tutti a letto dopo Carosello. Ora si parla invece di game show (certo il telequiz era solo quello di Mike Bongiorno) o di reality,o di talk show. Già definirli in inglese ci fa capire che questi programmi sono altro e bisogna fare i conti con un nuovo modo di fare televisione, alla luce delle nuove tecnologie, del digitale terrestre, e di un inevitabile maggiore impiego della interattività. Non si tratta quindi soltanto di nostalgia di un Paese in bianco e nero che non esiste più, quando tutti si era più giovani o addirittura bambini, ma del rimpianto per un televisione di grande spessore culturale e di valori comunicativi da recuperare per riempire di contenuti importanti gli spazi eccezionali che le nuove tecnologie mettono a nostra disposizione.

Ma andiamo per gradi. Qual era il rapporto della cultura con la televisione agli esordi? Scrive Vaime nella premessa: “Con la nascita della televisione, si pose subito il problema del rapporto tra questo medium popolare e la Cultura, le sue esigenze, il suo ambiente, che reagì chiudendosi a riccio di fronte a certe volgarizzazioni insite nel mezzo”. Accidenti! Come siamo lontani dalla realtà odierna … Certo si era usciti dal periodo tragico della guerra da soli 9 anni e gli intellettuali si erano interrogati a lungo sul loro ruolo nella società, su quale fosse il compito degli artisti , molti dei quali erano stati accusati di essersi chiusi in una “torre d’avorio” durante il ventennio fascista. Il dibattito era quindi acceso. Quello che colpisce è comunque quell’essere agli antipodi rispetto alla situazione attuale, in cui per esistere bisogna avere visibilità televisiva!

Ma fu proprio la consapevolezza che popolare non vuol dire rozzo o elementare, accompagnata a un grande rispetto per il pubblico, a far sì che venissero reclutati dall’azienda Rai personaggi di spessore e di grande preparazione in tutti i campi, da quello tecnico a quello più propriamente divulgativo. E quindi stuoli di ingegneri per dirigere i centri di produzione, quasi che dovessero in prima persona risolvere i problemi tecnici del nuovo mezzo, e poi giornalisti, scrittori, e tutti quelli che in quegli anni d’oro emergevano nel mondo del cinema, del teatro, della cultura. La scelta premiava sempre la qualità. E questo certo un po’ di rimpianto lo genera.

Qualche nome? Raffaele La Capria, Peppino Patroni Griffi, Emilio Gadda, che lavorò per la radiofonia, e ancora Sandro Bolchi, Giacomo Vaccari, Garinei e Giovannini, Marchesi…L’elenco è lungo. Poi negli anni ’60 arrivarono le nuove leve: Umberto Eco, Gianni Vattimo, Folco Portinari, lo stesso Vaime ,Liliana Cavani, Francesca Sanvitale … C’era inoltre da parte della Rai una tale considerazione del pubblico che il telespettatore veniva consultato per conoscere il suo parere su personaggi e programmi e non era soltanto una presenza fisica davanti al televisore per la rilevazione dei dati d’ascolto.

Poi pian piano però i programmi cominciarono a cambiare. Lo spettatore divenne sempre più protagonista e questo negli anni non è stato sempre un bene, spiega Vaime. Spesso si sente dire dai conduttori: “La televisione siete voi”, ma questo non è sempre un segno di democraticità come a un primo esame potrebbe apparire, ma l’irrompere dell’improvvisazione nei programmi televisivi. La goffaggine e il qualunquismo al posto della professionalità che dovrebbe essere garantita dai curatori dei programmi , fino alla nascita della Tv del dolore, quella che gli autori definiscono la televisione successiva alla tragedia di Vermicino nel 1981: ”Una sagra di esibizionismi variamente motivati che trasformarono una tragedia in una kermesse”. E siamo a televisione di oggi, con episodi di cronaca nera seguiti da alcune trasmissioni della Rai o delle Tv commerciali con i macabro gusto del reality, con le lacrime, le confessioni , il dolore esibito in diretta e il voyeurismo alimentato e sollecitato da giornalisti e conduttori televisivi con tragico sadismo più o meno consapevole, più o meno in buona fede.

Maurizio Costanzo ci racconta invece l’evoluzione televisiva della fiction, dal ruolo pedagogico- educativo che aveva nei primi anni, come non ricordare le grandi narrazioni televisive di Anton Giulio Majano e Sandro Bolchi, fino alla comparsa della “fiction del duopolio”. Scrive Costanzo: “ A causa della concorrenza prevalevano i generi a più basso costo di produzione e di veloce realizzazione”. Quindi telenovela dai Paesi dell’America Latina a sazietà, e soap-opera interminabili dagli Stati Uniti, poi fiction italiane di nuova generazione e sit-com, con episodi chiusi, della durata di mezz’ora circa, girati in interni e con un cast fisso di personaggi. Le pagine del libro sono corredate da numerose foto in bianco e nero che ci riportano alla memoria episodi e personaggi degli anni Ottanta che hanno “internazionalizzato” sicuramente la nostra Tv a volte un po’ provinciale, ma la hanno banalizzata anche molto.

Poi una riflessione a parte sui reality. Nel 1965 Nanni Loy raccontava l’Italia spiando le reazioni degli ignari protagonisti delle sue indimenticabili “candid camera”. Oggi ci sono “L’isola dei famosi” , il “Grande Fratello” e Survivor”. C’è polemica per l’uso un po’ disinvolto della Tv verità, sostengono gli autori del saggio, ma non bisogna dimenticare che quest’ultima, con i suoi contenuti spesso volgari e amorali discende proprio dall’eleganza di “Specchio segreto ”, con le sue storie malinconiche e persino poetiche. Questo a dimostrazione che non sono i format a rendere “trash” le trasmissioni, ma sempre i contenuti. Ultima frontiera del linguaggio televisivo è quella del “multipiattaformat”, dell’integrazione tra i media. Forse la partecipazione dello spettatore al programma con il voto nasce dalla crisi della televisione generalista. Ma tant’è, non si può pensare sempre che il passato sia un’irripetibile età dell’oro (anche se a volte abbiamo buone ragioni per farlo), sembrano suggerire Costanzo e Vaime, ma è necessario fare i conti con l’esistente, con i “new media” con l’interattività, e utilizzarli al meglio ispirandosi al passato per riempirli di importanti contenuti che siano specchio della realtà.

E l’informazione? Dai primi telegiornali un po’ ingessati si è passati a un’informazione potenzialmente illimitata con l’uso di internet, della webcam, dei social forum. Tutti possono accedere e essere protagonisti dell’informazione stessa. Per le trasmissioni di informazione politica si è passati dalle Tribune politiche moderate dall’indimenticabile Jader Jacobelli ai talk show condotti ora da giornalisti che fanno sempre più fatica a moderare, essendo a volte parte in causa.

Il futuro è già qui.. Bisogna governarlo senza temerlo “perché non sembra trovare sul proprio cammino ostacoli capaci di deviarne la corsa”, concludono gli autori.