di Carla Toffoletti
Alla vigilia dell’approvazione del Ddl Gelmini di riforma universitaria come vi state preparando?
La voglia è quella di far emergere le ragioni della protesta, dare un segnale forte, soprattutto rispondere ai vari Gasparri e Maroni. Queste continue provocazioni per cui siamo disegnati come potenziali assassini, da trattare come tifosi da stadio che sfasciano tutto, come se la nostra esasperazione dipendesse dal risultato di una partita di calcio o dal campionato, non sono accettabili.
Da cosa dipende la vostra esasperazione?
La nostra esasperazione oltre che disperazione dipende dal fatto che siamo la prima generazione senza prospettive, che ha di fronte, nella migliore delle ipotesi, un futuro precario, che non ci permette di pensare di stabilizzarci. Io ho 26 anni e quando mi laureerò le offerte di lavoro saranno o stage sottopagati, o contratti di apprendistato rinnovati volta per volta e sottoposti al ricatto della licenzi abilità, senza una prospettiva reale di futuro. Nella migliore delle ipotesi ci aspettano 10 anni di precariato.
Cosa pensi degli scontri verificatisi il 14 dicembre?
E’ inevitabile che una tensione sociale non ascoltata, che trova un palazzo sordo alle istanze e al disagio di una generazione giovane e di altri pezzi del mondo sociale che si sono trovati in piazza il 14 dicembre, si tramuti in rabbia e che questa possa poi degenerare in violenza. Il problema di fondo è che non c’è una risposta da parte della politica a questo disagio. Sulla violenza esplosa in piazza ci sono tra noi visioni differenti: c’è chi non vuole parlarne e chi non ci si riconosce, ma c’è un’unica chiave di lettura: si sta cercando di strumentalizzare quei fatti per fotografare in quella maniera il movimento studentesco. Questo lo rifiutiamo. Si sta spostando l’ attenzione riducendo il tema della mobilitazione studentesca a un problema di ordine pubblico, offuscando le ragioni della protesta. Noi non siamo un problema di ordine pubblico, siamo piuttosto la soluzione ai problemi di una società ormai malata, non in grado di progettare un futuro.
Vi siete incontrati con i poliziotti?
C’ è stato un incontro con alcuni sindacati di polizia. Quello che è emerso è una condanna comune al clima di tensione in cui si sta cercando di portare il paese, oltre che a una presa di distanza dagli atti violenti. I poliziotti hanno trovato il loro modo di protestare, li abbiamo visti ad Arcore, noi studenti scendiamo in piazza contro una riforma che riteniamo profondamente lesiva dei nostri diritti. Quando il 6 novembre abbiamo fatto la prima mobilitazione nazionale contro il Ddl Gelmini, al ministero dell’Università, ai tanti poliziotti schierati abbiamo detto:” Stiamo manifestando anche per voi, per i vostri figli, perché il decadimento culturale dell’istruzione pubblica è un problema di tutti”.
Cosa avete previsto per domani?
L’idea e quella di scendere in piazza e di far emergere il nostro dissenso in tutte le città italiane. A Roma, dove l’attenzione è massima e dove si teme che i potenziale “assassini” possano tentare nuovamente di sfondare la zona rossa e sfasciare la città, noi risponderemo con azioni diversive che non vogliono riproporre un clima di guerriglia urbana, ma che vogliono spiegare al paese le ragioni della nostra protesta. Far vedere che non siamo in poche e che nel giorno in cui la gente normalmente torna a casa o va a fare gli acquisti natalizi, noi studenti continuiamo a essere in piazza, a lottare per il nostro e per il loro futuro.
Quali sono le ragioni della vostra protesta e in cosa è inaccettabile il Ddl che sta per essere approvato in via definitiva al Senato?
E’ inaccettabile per l’idea che c’è dietro di università, e anche di società. Il Ddl vuole consegnare le università pubbliche ai privati, dandole in mano a Consigli di amministrazione, che diventeranno l’organo supremo in grado di decidere l’attivazione e la soppressione di corsi di laurea, e che avranno al loro interno almeno tre membri esterni con competenze manageriali, che per forza saranno privati, anche perché servono soldi per mantenere viva l’università. Viene minato il diritto allo studio. C’è un taglio del 95% dei fondi per le borse di studio. Il Governo sceglie di tradurre il diritto allo studio, che dovrebbe essere garantito dalla Costituzione, in prestiti da contrarre con le banche, a prescindere dalle condizioni economico- sociali e dalle situazioni di merito degli studenti. I ricercatori vengono precarizzati a tempo determinato, rivisitandone il loro ruolo e di fatto la ricerca stessa viene precarizzata, perché con contratto di tre anni, rinnovabile solo per altri tre, saranno portati a ottenere risultati immediati, pochi maledetti e subito .Non si può legare la ricerca a tempi contingentati. Insomma è un disegno di legge che destruttura il carattere pubblico dell’università e che la consegna in mano ai privati e agli istituti bancari.
Che l’università andasse riformata è un dato di fatto. Qual è la vostra proposta?
E’ un dato di fatto su cui convergiamo tutti quanti, noi per primi che l’università la subiamo dalla mattina alla sera. Ma se quella è l’idea di riformare l’ università noi non ci stiamo. Abbiamo bisogno di un’università che funzioni, che risolva i suoi problemi, ma che venga rilanciata nel suo ruolo centrale nella società della conoscenza e del sapere come bene pubblico. Ieri in un confronto con il vice presidente dei senatori della PdL Quagliariello è emersa l’idea di un’ aziendalizzazione dell’ università, che segue i principi della concorrenza, un’idea lontana dal sentire comune del mondo universitario.
Qual è la vostra idea di università?
Un’università che parta dalle responsabilità. Oggi serve un auto governo democratico dell'Università contro un'idea dell'autonomia stile 'faccio quello che mi pare'. Serve maggior trasparenza dei bilanci, controllo delle deliberazioni, controllo a chi ha minor potere, quindi studenti e ricercatori, strumenti di democrazia diretta. Dobbiamo riflettere anche sul ruolo unico della docenza, perché è un dato di fatto che abbiamo ricercatori, docenti ordinari e associati, che sono gerarchie. Abbiamo bisogno di un finanziamento adeguato e dobbiamo essere in grado di creare una relazione con gli Enti Locali per definire un sistema di agevolazioni. Oggi la mobilità sociale degli studenti tra le Regioni non esiste. L’ 80% rimane a studiare nella regione di residenza. Solo in questo modo si può arginare la proliferazione di corsi di laurea e di sedi distaccate, che sono un buco nero. (C. T.)