Giornata Infanzia Onu / 1


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Crescere straniero in Italia

A colloquio con la psicologa Maria Franca Posa

di Raffaella Miliacca

La scuola rappresenta la prima importante tappa nel processo d’integrazione dei minori stranieri. La diversità, il disagio, il confronto, il rapporto scuola-famiglia sono elementi di un percorso senz’altro già avviato, ma sul quale ancora procedere. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Maria Franca Posa, psicologa, autrice del libro “Crescere straniero in Italia. Rischi e opportunità” (Ed.Lombar Key – Bologna), che sarà presentato nell’ambito delle iniziative per la Giornata nazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Nel processo d’integrazione, quali differenze ci sono tra un bambino straniero nato in Italia e uno arrivato con i genitori immigrati?
"Il bambino straniero che nasce in Italia entra da subito nel nostro contesto cultural. La lingua, ad esempio, uno dei veicoli principali d’integrazione, viene appresa con più facilità. I minori che arrivano successivamente fanno più fatica e non solo per quello che attiene alla lingua. Entrano nel cosiddetto “trauma da migrazione”, devono riallacciare in un contesto diverso rapporti emotivi e familiari. Per molti si tratta di riallacciare relazioni con i genitori che non vedono da anni. Ai compiti legati alla crescita e allo sviluppo si aggiunge la difficoltà dell’integrazione".

Nell’inserimento a scuola, il rapporto con la famiglia svolge un ruolo importante. Può succedere che a volte sia proprio la famiglia di origine a ostacolare una completa integrazione?
"In maniera inconsapevole può succedere. Penso che la famiglia sia sempre una risorsa per l’individuo. Laddove c’è un minore la famiglia deve entrare come parte attiva nel processo d’integrazione. Per questo è necessario diffondere una cultura dell’infanzia, ossia cercare gli elementi che accomunano le diverse culture rispetto all’infanzia".

La scuola e gli operatori sono sufficientemente dotati di competenze specifiche?
"In certi ambienti sì. La mia esperienza si riferisce in particolare al territorio di Roma. Laddove c’è una scuola che tenta un discorso di qualità queste conoscenze sono diffuse e sono esperienze che cercano di radicarsi. Negli ultimi anni, a Roma, per quanto riguarda la suola dell’infanzia si è fatto molto nel promuovere un lavoro di formazione con le educatrici e le insegnanti. Qualcosa si è fatto anche a livello della scuola elementare e media. Il grosso vuoto, secondo me, è nella scuola superiore, lì per gli insegnanti non si fa formazione interculturale: i ragazzi che arrivano in Italia, che sicuramente invadono gli istituti tecnici, si trovano con un vuoto educativo".

Il cambiamento, lei scrive, è nel passaggio da una società multiculturale a una società interculturale. A che punto siamo?
"Ci sono dei segni. C’è la possibilità di creare degli scambi che siano realmente di confronto e di crescita. Ci sono dei segni, delle buone realtà in cui questo accade, però resta ancora molta strada da fare anche a livello istituzionale".