di Nello Di Costanzo
Ci sono manifestazioni di gioia che restano impresse nella mente, incancellabili, da brividi, che fanno venire gli occhi lucidi. E tutto questo per il calcio. Accade negli stadi di mezzo mondo, solo in quelli più calorosi e passionali. Succede all’Anfield Road di Liverpool dove i tifosi cantano “You'll never walk alone” o anche all’Olimpico di Roma dove il “popolo giallorosso” si esibisce nell’ormai famosa “Grazie Roma” di Antonello Venditti o nell’altrettanta conosciuta “Roma Roma Roma”. Si potrebbe continuare all’infinito. Inni orecchiabili, bellissimi, che fanno salire l’adrenalina. Brani creati, nella stragrande maggioranza dei casi, appositamente per il club da inneggiare. Ma non sempre è così. A Napoli, infatti, per celebrare le vittorie della compagine azzurra, i tifosi hanno rispolverato un loro vecchio “cavallo di battaglia”, una vecchia canzone non scritta per gli stadi: ‘O surdato ‘nnammurato (Il soldato innamorato). “Oje vita, oje vita mia… oje core ‘e chistu core… sì stata ‘o primmo ammore… e ‘o primmo e ll’ùrdemo sarraje pe’ me!” (“Oh vita, oh vita mia… oh cuore di questo cuore… sei stata il primo amore… e il primo e l’ultimo sarai per me!”). Questi i versi cantati dai supporter del Napoli al San Paolo per manifestare la loro inebriante gioia per le vittorie della squadra del cuore. Un coro bellissimo, da pelle d’oca che in questi giorni sta spopolando su youtube facendo il giro del mondo.
‘O surdato ‘nnammurato è una delle più famose canzoni in dialetto napoletano. Il testo fu scritto da Aniello Califano e musicato da Enrico Cannio nel 1915. Descrive la tristezza di un soldato che combatte al fronte durante la I Guerra mondiale e soffre per la lontananza dalla donna di cui è innamorato. Il successo è immediato, il brano è cantato nelle trincee e nei cafè chantant (memorabili le interpretazioni della canzone da parte di vari artisti in quello che fu il primo dei cafè chantant francesi nati in Italia: il Salone Margherita di Napoli, nella Galleria Umberto I, il simbolo della Bella époque italiana). Fu il fascismo a metterlo all’indice, considerandolo “disfattista”. Qualche decennio dopo (verso la metà degli anni ’50), i tifosi del Napoli iniziarono a cantarlo allo stadio come pegno d’amore incondizionato. Certo è che a tutto pensarono Califano e Cannio, ma mai avrebbero immaginato che un giorno il loro brano facesse da colonna sonora ai successi di Jeppson, Sivori, Altafini, Krol, Maradona e ora di Cavani & company.
Che ‘O surdato ‘nnammurato avrebbe accompagnato per sempre le gesta del Napoli lo capì invece una delle più grandi attrici italiane, romana di nascita ma un po’ napoletana dentro, Anna Magnani, esemplare interprete della canzone nel film “La sciantosa”. Ora, venti anni dopo Maradona, i tifosi del Napoli tornano ad intonare “Oje vita, oje vita mia…”. E sognano in grande dimenticando tutti i mali di una città in ginocchio. Rifiuti, disoccupazione, criminalità, sembrano tutto d’un colpo problemi lontani anni luce. ‘A nuttata di eduardiana memoria è passata perché il Napoli vola. In città, nei vicoli è tornata come d’incanto la felicità e l’ottimismo sui volti della gente. Che canta l’amato inno: “Oje vita, oje vita mia…”. Napoli è anche questa: luci, ombre e contraddizioni.