di N. R.
Nel gergo ufficiale la sigla sta per Organizzazione non governativa, ovvero una organizzazione di cittadini, nazionale o internazionale, impegnata senza scopo di lucro nel settore della solidarietà sociale e della cooperazione allo sviluppo. Per gli addetti ai lavori, invece, una Ong è un collettore di solidarietà, un ponte di relazione, una mano tesa.
Definizioni a parte, il mondo delle Ong negli ultimi anni si è imposto negli scenari internazionali anche a causa delle frequenti e ignorate crisi internazionali. Sempre più spesso le Ong accorrono per affiancare missioni governative e di Enti internazionali o in maniera autonoma. E il lavoro di questi “ponti di relazione” è certamente in forte crescita. Per spiegare le attività delle Ong, i progetti sul campo, le emergenze con le quali i cooperanti devono fare i conti tutti i giorni, Televideo comincia un viaggio all’interno del pianeta solidarietà e sviluppo.
In Italia l’Associazione delle Ong rappresenta il punto di incontro più significativo delle organizzazioni non governative italiane. Ne fanno parte 160, per un totale di oltre duemila progetti in ogni angolo del mondo. Si va dall’educazione, passando per la tutela dell’infanzia e delle donne, fino ad arrivare alla sanità. Non mancano, ovviamente, le Ong impegnate in progetti per l’alfabetizzazione, la formazione professionale, il microcredito, la lotta all’Aids e il commercio equo e solidale. “Il nostro lavoro è diventato negli anni sempre più importante. Ci viene riconosciuto dalle istituzioni ma soprattutto dall’opinione pubblica. Cerchiamo di essere presenti, con le nostre forze e le nostre strutture, dove gli altri non arrivano”. Sergio Marelli è il presidente dell’Associazione Ong Italiane. Il suo punto di vista sulla situazione internazionale è certamente influenzato dalle difficoltà nelle quali operano le organizzazioni non governative ma è anche supportato da anni di esperienza sul campo. “La comunità internazionale non riesce a risolvere le cause di tanti conflitti e migliaia di emergenze. Si concentra per superare gli effetti. Ma i problemi restano. Si devono, invece, superare le cause strutturali che sono alla base di tante tragedie. Questo significa avere un ruolo etico. C’è troppa miopia nell’ignorare che la pace è alla base del vivere, dello stare insieme, del progresso”.
E’ una dichiarazione di resa? “Tutt’altro. Continuiamo a lavorare ma non siamo una risposta a tutto. Non possiamo fare tutto da soli. Abbiamo bisogno di confrontarci con la comunità internazionale, con le istituzioni. E poi i fondi economici. Per il 2009 la Finanziaria ha tagliato del 56% i soldi destinati alla cooperazione internazionale. Questo significa che il nostro lavoro sarà sempre più difficile e la soluzione delle emergenze sempre più lontana. Non riusciremo più a programmare le attività”. E a questo punto? “Abbiamo cercato già dagli anni precedenti di diversificare le fonti economiche che garantiscono la sopravvivenza dei nostri progetti. Oggi il 40% di quello che spendiamo in attività arriva da donatori privati. Ma questo da solo non può bastare. Continueremo a fare pressioni su governo e Parlamento per spiegare la necessità dei fondi da destinare alle Ong, alle loro attività, ai progetti sul territorio. Cercheremo di far comprendere ancora di più che sviluppo significa pace e sicurezza, per tutti”.
Perché impegnarsi in attività di solidarietà o solo avvicinarsi ad una organizzazione non governativa? “Semplice, forse troppo. Perché è un dovere etico di cittadinanza attiva”.
(Nella foto in basso, donne afghane a scuola)