di N. R.
“Attualmente in Afghanistan siamo impegnati in due progetti. Operiamo a Herat per aiutare i profughi cacciati dall’Iran. Diamo loro assistenza quotidiana ma cerchiamo di trovare soluzioni per il loro futuro. Abbiamo organizzato un centro di formazione professionale, in collaborazione con la Cooperazione italiana, per insegnare un lavoro. Abbiamo laboratori di artigianato, per la tessitura di tappeti, per la ceramica, la scrittura artistica. Un altro progetto, in collaborazione con l’Unicef, è attivo per aiutare donne e bambini”.
Nino Sergi è il segretario generale di Intersos, una Ong fondata nel 1992 che opera a favore di popolazioni in pericolo, vittime di calamità naturali e conflitti armati. Opera in Africa, America centrale, Asia, Medioriente e Europa. I progetti attivati sono una settantina, per un valore di oltre 15 milioni di euro. Intersos si avvale di una cinquantina di cooperanti italiani ma ha oltre 3.000 volontari stranieri sparsi nel mondo.
Come è cambiata la situazione in Afghanistan? “Oggi avvertiamo molta delusione da parte della popolazione. La gente aveva molte aspettative, voleva migliorare il livello di vita, voleva avere sicurezza, ripresa economica. Le attività militari da sole non bastano. Occorre riequilibrare l’attività internazionale in Afghanistan non solo attraverso la sicurezza ma anche con risposte concrete alle esigenze primarie”.
Perché, nonostante l’attività di tante organizzazioni umanitarie non si riesce mai a fare abbastanza per risolvere le crisi? “Molto semplice: la maggioranza dei soldi viene impiegata per spese militari. Su 100 solo 1 va per le attività umanitarie. E’ troppo poco. Facciamo un esempio: in Afghanistan manca l’acqua, l’elettricità arriva nelle case solo per poche ore, in altre case non arriva proprio. Servono ospedali, scuole, pane”.
Una realtà nera e un futuro grigio? “Attualmente quello che vediamo è questo. Dobbiamo aggiungere anche il problema della sicurezza. E’ sempre più difficile girare a Kabul o lavorare. Avevamo messo su un progetto per il governo afghano ma abbiamo dovuto rinunciare. Ad oggi abbiamo solo 3 italiani impegnati nel Paese che lavorano, però, con tanti afghani. Per il futuro cosa dire. C’è bisogno di un cambio di rotta, oppure non se ne uscirà. E’ necessario dialogare con tutti, mettere tutti insieme allo stesso tavolo e trovare un’intesa di convivenza pacifica, per il bene dell’Afghanistan. Questo succederà?”