Energia: boom rinnovabili, Italia 6a per potenza cumulata
Le rinnovabili insediano il primato assoluto del petrolio fra le fonti di energia, facendo registrare un boom della produzione di energia da fonti rinnovabili (+35% nel solo 2008) e l'Italia e' al sesto posto come potenza cumulata nella classifica dei top ten mondiali.
Secondo le stime di Bruxelles, dal 2011 al 2020 e' attesa una produzione di nuova capacita' elettrica pari a 333 gigawatt, a fare la parte del leone sara' l'eolico con 136 gw e il 41% delle nuove installazioni. Nel 2020, l'energia eolica, attualmente al 5%, produrra' il 14% dell'elettricita' dell'Ue; le previsioni al 2030 attribuiscono ben il 64% di nuova capacita' alle rinnovabili, mentre: il gas produrra' il 17%; il carbone il 12%; il nucleare il 4%; il petrolio solo il 3%.
Il ruolo delle fonti rinnovabili in Europa e' invece ancora piuttosto marginale. Nel 2008 la quota di era pari all'8,39% del consumo totale contro il 36,46% del petrolio, il 24,50% del gas naturale, il 17,02% dei combustibili solidi e il 13,44% dell'energia nucleare. Secondo Eurostat, la percentuale di energia rinnovabile utilizzata nei trasporti rimane a livello europeo tutt'ora molto bassa giungendo nel 2008 al 3,5%.
Servizi: inadeguati per 8 italiani su 10
Servizi inadeguati per 8 italiani su 10, ma, dovendo scegliere, meglio quelli privati. E' quanto emerge dal 'Rapporto Italia 2011' di Eurispes, presentato oggi e in cui si sottolinea come la qualita' complessiva dei servizi nel nostro Paese e' valutata dal 52,5% dei cittadini (contro il 61,9% del 2010) come "poco soddisfacente" e dal 28,6% "per niente soddisfacente" (il 15,5% nel 2010). Questo significa che i giudizi negativi sono aumentati dal 77,4% della precedente rilevazione ad oltre l'80% nel 2011.
L'offerta di servizi riferibile al settore privato viene valutata qualitativamente superiore (57,2%), mentre il settore pubblico riunisce soltanto il 18,5% delle preferenze. E' da sottolineare che in molti (24,3%) non hanno saputo operare in questo senso una scelta tra pubblico e privato.
In dettaglio, appare lievemente in calo rispetto allo scorso anno il gradimento per il servizio offerto dalle Poste, giudicato positivamente dal 39,1% dei cittadini (49,9% nel 2010), e qualitativamente basso dal 58,7% (49,9% nel 2010). In ripresa la Telecom che passa dal 63,7% di giudizi negativi del 2010 al 60,2% registrati quest'anno, allo stesso tempo aumentano di circa 4 punti percentuali le indicazioni positive (da 29,3% a 33,4%). Migliora anche il gradimento per l'Alitalia che quest'anno vede aumentare la quota di quanti definiscono "buono" o "ottimo" il servizio offerto (complessivamente il 23,3%, +6,6 punti rispetto al 16,7% del 2010), anche se solo lo 0,7% degli utenti pensa sia "ottimo"; la situazione migliora decisamente sul fronte dei giudizi negativi (dal 71,2% del 2010 al 58,6% del 2011).
La stessa tendenza si registra per le valutazioni in negativo del servizio di Trenitalia che diminuiscono dal 72,9% del 2010 al 66,6% del 2011, ma non per quelle positive che invece restano stabili al 20% circa. Le Autostrade vedono invece un netto peggioramento per quanto riguarda sia il gradimento da parte dei cittadini (dal 38,7 nel 2010 al 27,5% nel 2011) sia le indicazioni negative che quest'anno aumentano al 59,4% (54,1% nel 2010).
Tendenzialmente stabili i giudizi nei confronti dell'Enel che trova un riscontro positivo presso circa la meta' degli utenti (50,8% nel 2010 e 49,2% nel 2011). I critici aumentano di circa 3 punti percentuali (dal 39,1% al 45,2%). L'Italgas fa registrare un calo di gradimento dal 45,6% del 2010 al 40,5% del 2011, ma allo stesso tempo diminuiscono i cittadini che criticano il servizio offerto dal 35,1% dello scorso anno al 33,5% dell'ultima rilevazione.
Infine, quest'anno sono state inserite come new entry nella classifica di gradimento presso i cittadini l'Eni e la Societa' elettrica della citta' nella quale gli intervistati risiedono. Per quanto riguarda l'Eni, nel complesso il 38% dei cittadini esprime un giudizio "ottimo" o "buono", leggermente piu' bassa la quota dei critici (35,2%). Da segnalare comunque che l'Eni raccoglie, piu' di tutte le altre realta' segnalate, il maggior numero di indicazioni di eccellenza (3,9%) e, allo stesso modo, il maggior numero di quanti non hanno saputo esprimere un giudizio (26,8%). Le indicazioni sulle Societa' elettriche delle diverse zone di residenza raccolgono buoni risultati per i giudizi positivi (43,8%); quelli negativi si attestano al 36,8%.
Sul giudizio dei cittadini non sembra aver avuto in termini di qualita' un effetto significativo - secondo Eurispes - il passaggio pubblico/privato che ha coinvolto, negli ultimi anni, alcune importanti aziende. Addirittura, a essere peggiorati, secondo gli intervistati, sono soprattutto i servizi di Alitalia (28,8%) e Ferrovie dello Stato (28,3%), mentre la privatizzazione ha fatto migliorare visibilmente - rispetto alle altre aziende - il servizio postale (32,5%), seguito a distanza dall'Enel (19,8%).
La qualita' dei servizi offerti e' ritenuta mediocre o addirittura pessima nel 79,3% dei casi per le Amministrazioni centrali (nel 2010, 74,6%), seguite da quelle locali (76,9%; nel 2010 erano al terzo posto con il 69,5%), dall'amministrazione della giustizia (67,8% che migliora rispetto al 70,9% dello scorso anno), dagli ospedali (66,1%; 62,5% nel 2010), la scuola (65,1%, molto peggio dello scorso anno: 59,6%), gli Enti previdenziali (63,9%, +2,1) e la sicurezza/ordine pubblico (56,9, +2,1%). Solamente la Difesa si colloca al di sotto del 50% con il 48,3% di indicazioni in senso negativo (+3,7% rispetto al 2010). Quest'ultimo settore e' anche quello che raccoglie in assoluto il maggiore apprezzamento dei cittadini insieme alla sicurezza/ordine pubblico (39,2%).
La qualita' della nostra scuola e' ritenuta "buona" o "ottima" nel 34% dei casi, seguono, in discesa, gli ospedali (32,4%), le Amministrazioni locali (22%), l'Amministrazione della giustizia (21,2%) e infine le Amministrazioni centrali (15%). Rispetto alla rilevazione dello scorso anno, l'apprezzamento ha subito un calo generalizzato crollando soprattutto nei confronti della qualita' dei servizi offerti dalle Amministrazioni centrali (dal 15% al 9,6%) e locali (dal 22% al 16,6%). Solamente l'amministrazione della giustizia e gli Enti previdenziali fanno registrare un'inversione di tendenza di segno positivo passando, rispettivamente, dal 21,2% del 2010 all'attuale 24,3% e dal 24,2% al 26,2%.
Banche: giù la fiducia, per l'88% degli italiani sono 'esose'
Le banche italiane non godono di grande credito presso gli italiani, anche se vengono promosse con la sufficienza per il servizio offerto. L'88,3% della popolazione giudica le banche molto (48,2%) o abbastanza (40,1%) 'esose'. E' quanto emerge dal rapporto Eurispes che fotografa un risparmiatore molto scettico e disincantato rispetto alla capacita' delle banche di farsi carico delle necessita' delle famiglie, delle imprese e piu' in generale della crescita dell'economia nazionale. Un giudizio fortemente critico emerge anche circa l'onerosita' dei tassi di interesse applicati ai prestiti. Solo per quanto riguarda il servizio offerto al risparmiatore, gli istituti riescono a strappare la sufficienza dalla maggioranza relativa degli intervistati.
Intervistati sulla situazione economica individuale dell'ultimo anno, la maggioranza assoluta del campione (57,3%) ha indicato un peggioramento: grave nel 23,9% dei casi o lieve nel 33,4%. Rispetto ad un anno fa, il numero dei pessimisti ha subi'to una lieve contrazione, pari a 2 punti percentuali; della stessa entita' si e' rivelata tuttavia la crescita di quanti hanno dichiarato un miglioramento (passati dal 6,9% all'8,8%), mentre e' rimasto sostanzialmente stabile il dato relativo a quanti ritengono invariata la propria posizione economica (33,2% contro il 32,9% del 2010).
La necessita' di chiedere un prestito bancario registra una lieve contrazione rispetto ai dati del 2010: se un anno fa il 34,2% del campione aveva infatti espresso questo bisogno, per il 2011 la percentuale si ferma al 29,5%, contro il 70,5% che dichiara di non aver avuto tale esigenza. Tuttavia, se si analizza il motivo (per questa domanda era possibile piu' di una risposta) per cui e' stato richiesto il prestito: emerge una sensibile contrazione di quanti hanno deciso di accendere un mutuo per l'acquisto di una casa, che in un anno passano dal 47,7% al 40,3% del campione. Ma il dato che piu' colpisce e' quello relativo al bisogno di credito espresso per pagare prestiti contratti in precedenza con altre banche o finanziarie (30,7%) oppure per pagare debiti accumulati (38,9%).
Tra quanti hanno fatto richiesta di un prestito negli ultimi tre anni vi e' una prevalenza dei residenti nelle regioni del Sud (33,7%), nelle Isole (31,2%) e nel Nord-Ovest (30,9%); mentre il Nord-Est e il Centro Italia si fermano rispettivamente al 27,2% e al 25,3% del totale. Le fasce di eta' piu' interessate dalla domanda creditizia si rivelano quelle intermedie, ovvero comprese tra i 35 e i 44 anni (37,9%). Per il 2011 crescono le richieste comprese tra 10.001 e 30.000 mila euro (32,2% contro il 20,9% del 2010); ma soprattutto diminuiscono considerevolmente le richieste superiori ai 100mila euro, che passano dal 23,3% al 14,1 per cento.
Un dato, quest'ultimo, che deve essere letto tenendo in considerazione la parallela contrazione registrata nell'ambito dei mutui bancari finalizzati all'acquisto di una casa. Si registra una leggera prevalenza di piccoli prestiti (1.000-10.000 euro) al Nord-Ovest (29,6%) e al Nord-Est (29,1%), mentre per i prestiti piu' corposi (oltre 100.000 euro) nelle regioni del Centro Italia (17,3%). Sono soprattutto gli anziani a fare richiesta di piccoli prestiti (32,9%); i piu' corposi interessano invece la popolazione tra 25 e 44 anni.
Alla domanda se 'il tasso di interesse applicato al suo prestito le e' sembrato…' il 43,6% degli intervistati ha infatti risposto 'alto' a fronte di un 35,7% che ha invece scelto 'adeguato'. A distanza di un anno, si ripropone dunque una valutazione molto critica circa l'onerosita' dei prestiti concessi ai clienti (nella precedente rilevazione il 45,7% aveva infatti risposto 'alto') e cio' nonostante la dinamica dei tassi si sia mantenuta per tutto il 2010 su livelli generalmente bassi. E' dunque probabile che sulla valutazione del tasso applicato ai prestiti incida una visione piu' generale delle banche e della loro politica, sulle quali la maggioranza del campione esprime giudizi fortemente critici.
Il 42,5% non e' per niente convinto che 'le banche siano sensibili nei confronti delle necessita' delle famiglie' e il 38% si dice poco convinto. Per contro, l'83,8% e' molto (53,3%) o abbastanza (30,5%) d'accordo nel ritenere che gli istituti diano credito solo a chi dimostra gia' di possedere beni e l'88,3% giudica le banche molto (48,2%) o abbastanza (40,1%) 'esose'. L'opinione che il sistema bancario 'raccolga i risparmi dei piccoli per finanziare i grandi' trova molto d'accordo il 41% e abbastanza d'accordo il 33,2%.
Da rilevare inoltre la diffusa convinzione che 'le banche diano credito ai potenti indipendentemente dalle garanzie', sulla quale converge il 72,4% delle risposte (il 44,6% si dice 'molto' d'accordo e il 27,8% 'abbastanza' d'accordo). Il campione si divide in maniera significativa solo davanti alla domanda se le banche siano 'importanti perche' finanziano le imprese e la crescita dell'economia': se il 46,2% degli intervistati si dichiara infatti abbastanza (31,5%) o molto (14,7%) convinto, il 45% si dice poco (30,2%) o per niente d'accordo (14,8%).
L'opinione negativa sulle banche si attenua tuttavia quando si e' chiesto agli intervistati un giudizio sul servizio offerto dagli istituti. In questo caso infatti il 48,8% ha espresso una valutazione 'sufficiente' e il 13,1% una 'positiva'; soltanto il 23,2% si dice in questo caso molto (8,7%) o comunque insoddisfatto (14,5%) del servizio offerto. I dati sembrano essere in linea rispetto a quelli rilevati nel 2010 con una variazione pero' a ribasso per la sufficienza (era al 52,1%), cosi' come per i giudizi negativi (21,2% nel 2010) o del tutto negativi (5,1%). Stabile, invece, il numero di quanto esprimono un giudizio positivo (12,9% nel 2010).
Sanità: per gli italiani peggiora, tempi di attesa intollerabili e assistenza ospedaliera più giù
Il Servizio sanitario nazionale, fiore all'occhiello dell'Italia all'estero, agli abitanti del Belpaese piace sempre meno. A sconfortare i connazionali tempi di attesa troppo lunghi (79,4%), scarsa qualità delle strutture ospedaliere (66,1%), ticket salati (60,3%) e assistenza nei nosocomi che lascia a desiderare (56%). Una lancia viene spezzata soltanto quando a essere chiamata in causa è la professionalità degli addetti ai lavori - medici e infermieri - che fanno registrare rispettivamente un indice di gradimento che si attesta a quota 64,2% per i primi e 60,2% per i secondi. A scattare la fotografia, con parecchie ombre e poche luci per il nostro Ssn, è il Rapporto Italia 2011 messo a punto dall'Eurispes e presentato questa mattina a Roma.
ll livello di soddisfazione che gli italiani esprimono nei confronti dei servizi offerti dal nostro Sistema sanitario, rivela il Rapporto 'L'Italia: una terapia della scelta', risulta scarso, considerando che a rispondere di essere poco soddisfatto è il 44,3% del campione e che il 17,1% dichiara di non esserlo affatto (il parere negativo si attesta dunque complessivamente al 61,4%). Il grado di soddisfazione si ferma appena al 35,8% (31,9% abbastanza e 3,9% molto soddisfatto).
Rispetto all'anno appena trascorso, il livello di insoddisfazione dei cittadini è cresciuto. Si dice infatti per nulla e poco soddisfatto il 4,3% e lo 0,8% in più di persone (che fa registrare un +5,1% in un anno tra le fila degli scontenti), mentre al contrario si assottiglia la percentuale di quanti si dicono abbastanza e molto soddisfatti, comportando un -5,3% nel primo caso e un -0,6% nel secondo, che fa diminuire il livello di soddisfazione del 5,9% rispetto allo scorso anno.
Maggiore soddisfazione per il nostro sistema sanitario si registra nel Centro (41,3%), seguito da Nord-Ovest (39,1%), Nord-Est (38,6%), Isole (26,4%) e Sud (26,3%). Esprimono malcontento il 71,2% degli abitanti delle Isole, il 70,7% del Meridione, il 58,5% del Nord-Est, il 58,2% del Nord-Ovest e il 55,6% del Centro.
Peggiora, in particolare, il giudizio degli italiani sull'assistenza ospedaliera. Si reputa poco e affatto soddisfatto il 40,9% e il 15,1% dei cittadini (per un totale del 56%), contro il 37,2% e il 4,8% di chi si dice abbastanza e molto soddisfatto (per un totale del 42%). Il confronto con l'anno 2010 mostra un aumento del grado di insoddisfazione dell'8,1% e una diminuzione dei soddisfatti del 6,6% circa.
A creare malcontento tempi di attesa "intollerabili". Coloro che, su questo particolare tema, si ritengono abbastanza soddisfatti dei tempi necessari a risolvere i loro bisogni ospedalieri sono il 12,5% dei connazionali, cui si aggiunge un 5,4% che dichiara di essere estremamente soddisfatto, per un totale di pareri positivi che si attesta a quota 17,9%. A lamentare una totale insoddisfazione è invece il 44,9% degli intervistati, seguiti da un 34,5% che si dichiara poco soddisfatto, facendo registrare un totale che sfiora i quattro quinti degli italiani (79,4%). Considerando che la situazione disegnata nel 2010 esprimeva già delle condizioni pessime (il 74,5% si era detto insoddisfatto, contro il 21,3% che svelava il contrario), il peggioramento registrato fa segnare un +4,9% tra coloro che criticano l'eccessiva lunghezza dei tempi di attesa all'interno degli ospedali presenti sul territorio e un -3,4% tra quanti invece non esprimono lamentele al riguardo.
Altra nota dolente le strutture ospedaliere, carenti per due terzi dei cittadini. La qualità dei nosocomi distribuiti sulla Penisola risulta insufficiente per i due terzi del campione: non si ritiene infatti soddisfatto il 66,1% (45,3% poco, 20,8% per niente), contro il 31,8% che esprime gradimento (29,6% abbastanza, 2,2% molto). Rispetto al 2010, il sentimento di apprezzamento sui requisiti che un ospedale dovrebbe avere passa dal 39,2% al 31,8% (-7,4%), quello di insoddisfazione cresce dell'8,5% (dal 57,6% del 2010 al 66,1%).
Nonostante la carenza di strutture e servizi, è largamente apprezzata la competenza di medici e infermieri, primo dato positivo. Sono infatti il 64,2% i cittadini che si dichiarano abbastanza (52,1%) e molto (12,1%) soddisfatti della preparazione dei camici bianchi, valore che tuttavia si attestava nel 2010 al 71,6%, facendo registrare un calo del 7,4%. I critici sono invece il 33% che, se messi a paragone con lo scorso anno (24,8%), mostrano come il dato sia cresciuto.
Un altro dato positivo riguarda la valutazione relativa alla professionalità del personale infermieristico: il 60,2% esprime infatti gradimento verso la categoria e il suo operato, contro il 37,5% di quanti si dicono insoddisfatti. Rispetto all'anno passato la situazione è stabile: è diminuito il gradimento soltanto dello 0,2% ed è aumentato il malcontento dell'1,3%.
In linea con i risultati ottenuti sulla rilevazione del 2010, interrogati sulla responsabilità dei casi di malasanità avvenuti all'interno di alcuni ospedali pubblici italiani, il 18,4% dei connazionali ne fa risalire la causa alle carenze strutturali degli ospedali pubblici, quali il mancato rispetto delle norme igieniche e il sovraffollamento; il 14,5% sostiene che il problema principale sia costituito dai medici, il 12,5% imputa la responsabilità ai tagli alla sanità, il 3,9% ritiene che i colpevoli siano gli infermieri, mentre la maggior parte, il 47%, sostiene che a dar vita ai casi di malasanità sia l'insieme congiunto dei fattori citati.
E se da un lato la sanità pubblica perde colpi, cresce dall'altro il gradimento per i privati. Per usufruire di cure specialistiche o affrontare interventi chirurgici, gli italiani preferiscono affidarsi, nel 41,4% dei casi, alle strutture ospedaliere pubbliche, mentre si attestano su livelli simili coloro che preferiscono rivolgersi agli ospedali privati (26,1%) e quanti invece, pur volendo optare per i privati che rappresentano la loro prima scelta, sono costretti a ripiegare sul servizio pubblico a causa dei costi troppo elevati (24,2%). Questa categoria è aumentata del 3,8% rispetto all'anno precedente, così come chi predilige le cure e i servizi erogati dalle cliniche private ha fatto registrare un aumento del 3,3%. In drastico calo rispetto al 2010 invece (-10,1%) le preferenze accordate alle strutture sanitarie pubbliche.
Bioetica: 78% degli italiani vuole una legge sul biotestamento (ma in calo rispetto al 2010: -4,2%)
Italiani favorevoli a una legge che regoli l'annoso tema del fine vita. Il 77,2% vuole un provvedimento che istituisca nel nostro Paese il testamento biologico. Una percentuale cospicua, ma in calo rispetto al 2010, quando a chiedere una legge ad hoc sulle dichiarazioni anticipate di trattamento era l'81,4% dei connazionali (-4,2%). A scattare la fotografia, mentre il provvedimento sul fine vita si appresta ad approdare nell'Aula di Montecitorio, è il Rapporto Italia 2011 messo a punto dall'Eurispes e presentato questa mattina a Roma.
Già nel 2007 si dichiarava favorevole a una legge sul biotestamento il 74,7% degli italiani (contro il 15% dei contrari), diventati l'81,4% nel 2010 (contro il 10,9% dei non favorevoli). I dati di quest'anno dimostrano però un'inversione di tendenza, dal momento che rispetto all'anno precedente coloro che si dicono favorevoli al testamento biologico sono diventati il 77,2%. Mentre sono aumentati al 14,2%, il 3,3% in più nel giro di un anno, coloro che si schierano contro la sua istituzione a mezzo di un'apposita legge.
La maggior parte di coloro che sono favorevoli al testamento biologico è di sinistra (87,5% contro il 7,8% dei contrari), seguiti da chi non ha alcuna appartenenza politica (80,1%), da quanti si riconoscono nei valori del centro-destra (76%), del centro-sinistra (75,6%) e del centro (64,9%). Nel caso fosse introdotto il testamento biologico, secondo l'opinione del 72,8% degli italiani, il medico non potrebbe ignorare la volontà in esso espressa; solo il 14,8% (13,9% nel 2010) ritiene invece che il medico potrebbe agire in maniera difforme dalla richiesta espressa dal paziente. Ad avere dato una risposta negativa è stato il 74,5% degli intervistati nel 2010, diventati il 72,8% nel 2011 (-1,7%), mentre a rispondere affermativamente è stato il 13,9% nel 2010, diventato il 14,8% nel 2011 (+0,9%).
Eutanasia: per 1 italiano su 2 praticata in sordina negli ospedali
Eutanasia praticata in sordina negli ospedali pubblici, a dispetto di quanto previsto dalla legge. Il 48,6% degli italiani pensa che la 'dolce morte' abiti ugualmente nei nosocomi della Penisola, praticata illegalmente. A rivelarlo è il Rapporto Italia 2011 messo a punto dall'Eurispes, presentato questa mattina a Roma.
Mentre nel 2007, di fronte alla domanda 'secondo lei negli ospedali pubblici viene praticata di nascosto l'eutanasia per i casi irrisolvibili anche se la legge non lo consente?' quasi la metà del campione (47,3%) non riusciva a dare una risposta netta a favore del sì o del no, con il passare degli anni i dubbi vanno scemando, interessando il 25,4% degli intervistati nel 2010 e il 21,4% nel 2011. Se nel 2007 a rispondere 'sì' è stato il 26,3% degli italiani, nel 2010 tale percentuale è salita al 45,2% (+18,9%), e ancora al 48,6% nell'anno in corso (+22,3% rispetto al 2004 e +3,4% rispetto al 2010).
Minori variazioni ha subìto invece la percentuale di quanti ritengono che non venga praticata all'interno delle strutture ospedaliere pubbliche: erano il 26,4% nel 2004, il 29,4% nel 2010 e sono oggi il 30%. Nonostante l'opinione diffusa che l'eutanasia venga praticata illegalmente negli ospedali, la maggior parte degli intervistati afferma di non essere mai venuta a conoscenza di episodi di 'dolce morte' praticata di nascosto da parte di familiari, amici o conoscenti: questa quota rappresentava l'87,4% nel 2007, il 91,4% nel 2010 (+5%) e l'82,4% nel 2011. Al contrario, il 5,9% nel 2007, il 7,7% nel 2010 e il 7,4% di quest'anno hanno risposto affermativamente.
Dal Rapporto Eurispes, emerge inoltre una potenziale inversione di tendenza sul tema. I due terzi del campione intervistato (66,2%) si dice infatti favorevole alla pratica dell'eutanasia, facendo registrare un -1,2% rispetto al 2010 in cui era il 67,4% a schierarsi in favore della pratica, un -1,8% rispetto ai dati raccolti nel 2007 (68%) e un +6,7% rispetto al 2004. Sempre rispetto allo scorso anno, aumenta nel 2011 la quota dei contrari, passando dal 21,7% al 24,2%. Allo stesso tempo diminuiscono gli indecisi (dal 10,9% al 9,6%).
A rispondere di essere favorevole alla possibilità di concludere la vita di un'altra persona, dietro sua richiesta, ricorrendo alla pratica dell'eutanasia è il 67,9% degli uomini, contro il 64,6% delle donne, mentre queste ultime si dicono contrarie nel 26% dei casi, contro il 22,3% degli uomini che fanno la stessa dichiarazione (con una differenza del 3,7%). Tra i favorevoli alla 'dolce morte' il 75,3% appartiene alla classe d'età 18-24enni, il 70,9% alla fascia 25-34 anni, il 67,5% alla categoria dei 35-44enni, il 67,7% ai 45-64enni e il 53,7% a chi ha 65 anni e oltre.
L'appartenenza politica fa registrare un picco dell'82% di favorevoli alla pratica della 'buona morte' a sinistra e soltanto l'11,7% dei contrari. Chi non si riconosce in alcuna posizione politica afferma di essere d'accordo per il 69,6% e contrario per il 19,4%. I votanti di destra fanno registrare un 66% a favore e un 27,7% contro l'eutanasia. Tra i militanti del centro-sinistra, il 63,1% si dice favorevole e il 26,7% contrario. Nelle fila del centro ritroviamo un 57,9% di favorevoli e un 31,6% di contrari e infine, tra coloro che si riconoscono nel centro-destra, il 54,5% dichiara la propria aderenza allo spirito che si cela dietro la pratica e il 37,2% si tiene invece su posizioni opposte.
Usura: 37% delle province a rischio nel centro-sud
Il 36,8% delle province con un Indice di rischio usura classificato come "medio" (valore Iru 40-60) e' localizzato nelle regioni del Mezzogiorno; stessa percentuale di province nel Centro Italia, mentre le province del Nord-Ovest rappresentano il 26,3% del totale. Lo rileva l'Eurispes, nel Rapporto Italia 2011, spiegando che l'Iru, che assume valori compresi tra 0 e 100, si fonda sull'analisi di quelle variabili di contesto socio-economico che si ritiene possano influenzare il grado di vulnerabilita' e/o permeabilita' di un territorio rispetto all'usura: quadro economico; sistema bancario; tessuto imprenditoriale; criminalita'.
Alla classe di rischio "basso" (valore Iru 20-40) appartengono prevalentemente le province del Nord-Ovest e Centro Italia (in entrambi i casi il 38,9% del totale), seguite da quelle del Nord-Est (22,2% del totale). Alla classe di rischio "molto basso" (valore IRU 0-20) appartengono esclusivamente province del Nord Italia, con una preponderanza assoluta del Nord-Est sul Nord-Ovest (rispettivamente 73,7% e 26,3% del totale).
La maggiore vulnerabilita' del Mezzogiorno rispetto al resto d'Italia - tutte le province del Sud e delle Isole appartengono alle classi di rischio usura "alto" (valore IRU 80-100) e "medio" (valore IRU 60-80) - trae origine dalla persistenza, a livello regionale e provinciale, di alcune condizioni che si ritiene favoriscano il diffondersi del fenomeno dell'usura, tra cui: elevato tasso di disoccupazione; Pil pro capite inferiore rispetto alla media nazionale; diffusione della criminalita'; crescenti difficolta' economiche di famiglie e imprese; minore presenza di banche sul territorio; difficolta' di accesso al credito.
La Calabria e la Campania sono le regioni con il piu' alto Indice Iru medio provinciale (rispettivamente 89,5 e 81,3) e appartengono entrambe alla classe di rischio "molto alto" (Iru 80-100). Nella classe di rischio "alto" (Iru 60-80) tutte le regioni appartengono al Sud (con valori Iru medi provinciali compresi tra il 68,1 della Puglia e il 79,9 della Basilicata) e alle Isole (valore Iru medio provinciale pari al 61,2 in Sardegna e al 69,2 in Sicilia).
Al ridursi della classe di rischio usura aumenta la presenza di regioni del Nord Italia, in cui i valori medi provinciali rilevano: un rischio "basso" (Iru 20-40) in Piemonte (37,8), Valle d'Aosta (27,9), Friuli Venezia Giulia (24,7) e Veneto (20,5); un rischio "molto basso" (Iru 0-20) in Lombardia (19,9), Emilia Romagna (15,6) e Trentino Alto Adige (0,1).
La classifica rileva la presenza della totalita' delle province della Calabria (ad eccezione di Catanzaro, Iru 76,8) nella classe di rischio "molto-alto", con valori Indice compresi tra 87,3 e 100 (rispettivamente Cosenza e Crotone). Sempre in questa classe troviamo le province di Caserta (Iru 90,8), Benevento (Iru 87,2), Avellino e Matera (Iru 82,9).
Nella classe di rischio usura "alto" (Iru 60-80) si riscontra una percentuale significativa di province della Sicilia (9 su 25, 36% del totale, con valori Indice compresi tra 61,0 di Palermo e 79,9 di Enna); della Puglia (5 su 25, 20% del totale, con valori Indice compresi tra 60,1 di Bari e 73,3 di Foggia).
All'estremo opposto della classifica, ovvero nella classe di rischio "molto basso" (IRU 0-20) si riscontra: la minore vulnerabilita' in assoluto delle province di Trento(0) e Bolzano (0,2); la presenza di province appartenenti ad altre tre regioni, del Nord-Est (Veneto, Emilia Romagna) e del Nord-Ovest (Lombardia). In particolare, le province dell'Emilia Romagna rappresentano il 42% del totale, seguite dalle province della Lombardia e del Veneto (rispettivamente 26,3% e 21% del totale).
Omicidi in famiglia, 10 al mese
Nel biennio 2009-2010, in Italia, secondo il rapporto Eurispes, si sono registrati 235 omicidi domestici (122 nel 2009 e 113 nel 2010), in pratica dieci al mese: quasi la meta' sono stati commessi nel Nord (52,5% nel 2009 e 47,8% nel 2010), mentre al Centro se ne sono registrati il 21,3% nel 2009 e il 18,6% nel 2010, e al Sud e nelle Isole sono stati il 26,2% e il 33,6% rispettivamente nel 2009 e nel 2010. La maggior parte degli autori di omicidi domestici, nel biennio 2009-2010, sono stati maschi (85,7% nel 2009 e 84,9% nel 2010), mentre le donne sono le vittime sacrificali, ''forse perche' piu' deboli o peggio perche' non piu' disposte ad accettare soprusi e angherie''.
Sono state il 70,5% le donne uccise nel 2009 e il 62,8% quelle che hanno perso la vita nel 2010, tra le mura domestiche. Tra queste, la maggior parte erano mogli o conviventi (34,4% nel 2009 e 20,3% nel 2010). Considerando i maschi vittime di omicidi (29,5% nel 2009 e 37,2% nel 2010), se nel 2009, questi erano per lo piu' figli (12,3%), seguiti dai padri (4,9%), nel 2010, invece, erano i padri (10,6%) i principali bersagli della furia omicida, seguiti dai figli (9,7%). Nelle fasce d'eta' piu' mature, quelle dei 35-44enni e dei 45-64enni si conta, in media, il maggior numero di ''autori'' (30,6% nel 2009 e 29% nel 2010) mentre le ''vittime'' sono, nel maggior numero dei casi anziane (il 25,1% in media delle vittime dai 65 anni in su), 35-44enni (il 21,3% in media) e 46-64enni (il 20% in media). Nel biennio 2009-2010, sono risultati 39 i figlicidi (25 nel 2009 e 14 nel 2010). Di questi, nel 2009, 14 sono stati compiuti da padri, 11 da madri. Nel 2010, invece, 4 sono stati compiuti da padri e 10 da madri. Per quanto riguarda i genitoricidi, ad essere stati uccisi per mano dei propri figli sono stati, nella maggior parte i padri (6, nel 2009 e 14, nel 2010); i matricidi, invece, sono stati 8 nel 2009 e 10 nel 2010.
Nel 2009 un reato ogni 5 minuti, soprattutto furti
Nel 2009 in Italia sono stati denunciati 2,6 milioni di reati, con una media di 300 all'ora - 5 al minuto - e 525 reati ogni 10 mila cittadini maggiorenni. E' quanto si legge nel rapporto dell'Eurispes. La fattispecie delittuosa piu' frequente e' costituita dai furti, che da soli rappresentano oltre la meta' dei reati (1,3 milioni), seguita dai danneggiamenti (oltre 415 mila), dalle truffe e frodi informatiche (quasi 100 mila reati). Le province di Milano, Roma, Torino e Napoli sono in testa per numero di delitti in termini di valori assoluti. La provincia di Milano, in particolare, e' al primo posto per i furti, i danneggiamenti e le minacce. Rapportando il numero dei delitti con la popolazione maggiorenne, Milano si posizione sempre al primo posto, seguita da Rimini e Torino, mentre Roma scende in 10/a posizione. All'ultimo posto c'e' la provincia di Oristano, con 225 delitti ogni 100 mila persone. Un capitolo a parte riguarda l'usura, con un incremento significativo del numero dei reati nel biennio 2008-2009 (464 denunce in Italia, +23% rispetto al 2008). A livello provinciale si conferma il primato di Napoli, con 49 reati denunciati nel 2009, seguita da Roma (39), Bari e Milano (26). Complessivamente, dal 2007 al 2009 i commercianti coinvolti in rapporti usurari sono aumentati di un terzo, da 150 mila ad oltre 200 mila, con un contestuale aumento del giro d'affari da 8 a 20 miliardi.
Infanticidi in aumento, 1 ogni 20 giorni nel 2010
Nel 2010 e' stato compiuto un infanticidio ogni 20 giorni. Un anno prima la cadenza era di uno ogni 33 giorni e, nel 2008, di uno ogni 91. E' l'escalation fotografata dal Rapporto Eurispes Italia 2011 che ha dedicato un capitolo alla depressione post partum (DPN). Nei casi gravi, questo disturbo puo' sfociare anche nell'infanticidio. In numeri assoluti, i casi sono stati 4 nel 2008, 11 nel 2009 e 20 nel 2010. Il rapporto ha calcolato anche i costi economici da sostenere per la cura di una donna colpita da depressione post partum, disturbo che incide per il 10-20% nella popolazione femminile. Incrociando i dati relativi alle risorse economiche necessarie per affrontare una terapia farmacologica e una psicoterapia, l'Eurispes ha calcolato che un percorso di cura per ogni donna costa 3.392 euro. La depressione post partum e' un disturbo di tipo depressivo, non psicotico che ha inizio ed evolve in maniera conclamata tra le otto e le dodici settimane dal parto. I sintomi definiscono un quadro molto simile a quello di un disturbo depressivo. Una caratteristica e' la sua variabilita'. I primi segnali possono essere fraintesi e venire scambiati per un normale stato di disagio legato alla stanchezza per il parto, per l'allattamento e per la riorganizzazione del proprio stile di vita.
Minori teppisti, rapinatori e killer in aumento
E' aumentato progressivamente il numero di minori collocato in comunità, passati da 1.339 (2001) a 2.100 unità (2009). E' quanto rileva il Rapporto Italia 2011. Ancora una volta questa misura è stata prevista prevalentemente per i minori italiani: se nel 2001 entravano in Comunità 804 minorenni nati e cresciuti nel nostro Paese, nel 2009 se ne segnala la presenza di 1.419. Gli stranieri erano invece 535 nel 2001 e sono aumentati a 824 nel 2008 per poi diminuire drasticamente nel 2009 (681). I Centri di Prima Accoglienza hanno registrato la presenza di un numero di minori in lenta diminuzione: dalle 3.685 presenze medie giornaliere rilevate nel 2001 a 2.422 nel 2009. La quota di minori italiani ha subìto nel corso del tempo un progressivo rialzo (2001: 46%; 2009: 62%), mentre la tendenza che riguarda gli stranieri ha raggiunto un livello pari al 38% delle presenze. Per quanto riguarda gli Istituti penali per minori, i dati relativi al periodo tra il 2006 e il 2009 evidenziano un aumento delle presenze medie giornaliere, arrivate a 503 unità.
Nel 2009, sono stati collocati presso gli Ipm 296 ragazzi italiani, a fronte di 207 minorenni di nazionalità straniera. Per reati contro il patrimonio, nel 2009, sono stati condannati a scontare una pena detentiva 293 minori (di cui 175 italiani e 118 stranieri). Particolarmente diffusi sono i capi d'accusa per rapina (162 in totale, di cui 113 a carico di italiani) e furto (in questo caso il numero dei minori stranieri detenuti è superiore a quello degli italiani: 47 contro 21). Per quanto riguarda i reati contro la persona (80 minorenni detenuti), è sconfortante che il maggior numero di condanne siano state emesse per casi di omicidio (23) o tentato omicidio (21). Un altro crimine che coinvolge un numero rilevante di giovani presenti presso gli Ipm sono le violenze sessuali di gruppo (22; 15 italiani e 7 stranieri).
Carceri tra sovraffollamento e suicidi
L'Italia e' il paese europeo che ha avuto l'aumento piu' consistente di popolazione carceraria dal 2007 a oggi. Secondo i dati del ministero della Giustizia, citati nel rapporto Eurispes, a fine 2010 il numero di detenuti presenti nelle 'patrie galere' era pari a 67.961 soggetti, a fronte di una capienza regolamentare pari a 45.022 condannati. In pratica, circa 150 persone devono dividersi lo spazio previsto per 100. A livello regionale, si legge nel rapporto, la bandiera nera spetta alla Puglia, dove la popolazione carceraria conta 4.755 presenze sulle 2.528 regolamentari, con un esubero di 88 detenuti ogni 100 posti. Altrettanto drammatica la situazione in Emilia Romagna, dove il surplus e' pari a 83 unita'. Isola felice (o quasi) e' la Sardegna che conta nei suoi 12 istituti 2.217 presenze, con le 1.970 regolamentari. Meglio ancora va in Trentino Alto Adige, con 405 presenze a fronte delle 394 attese. Eurispes cita anche uno studio condotto dall'associazione 'Ristretti Orizzonti' che ha evidenziato una stretta relazione tra il tasso di sovraffollamento e il numero dei detenuti suicidi: nelle 9 carceri analizzate, dove l'affollamento e' del 22% oltre la media, si e' registrata una frequenza dei suicidi piu' che doppia. Il picco massimo dei suicidi si e' raggiunto nel 2009 quando, su un totale di 177 detenuti deceduti, 72 hanno volontariamente deciso di togliersi la vita. Nel 2010, invece, i casi di suicidio sono scesi a 66 su un totale di 173 decessi. Sempre meno le risorse a disposizione per la gestione del sistema carcerario, passate da 3 miliardi e 95 milioni del 2007 a 2 miliardi e 770 milioni di euro nel 2010.
I volontari ispirano più fiducia dei carabinieri
Volontari piu' affidabili persino di carabinieri e preti. Emerge anche questo dall'ultimo rapporto Eurispes sullo stato del Paese. Le associazioni di volontariato rappresentano, tra le istituzioni italiane, l'unica realta' capace di conservare, nel tempo, un livello di fiducia elevato presso la maggior parte dei cittadini. Il 79,9% degli italiani, infatti, ha dichiarato nel 2011 di avere fiducia nelle associazioni di volontariato, percentuale superiore anche a quella raccolta dalle Forze dell'ordine - Carabinieri 72,6%, Polizia 66,8%, Guardia di finanza 64,9% - e dalla Chiesa, 40,2%. Notevole, poi, il divario rispetto a istituzioni come la scuola: 43,7%. A fronte della crisi della politica, il mondo del non profit in questi anni - rileva l'Eurispes - e' significativamente cresciuto in numeri e qualita': l'Istat stima in circa 5,4 milioni i cittadini che partecipano alle attivita' gratuite di volontariato (il 9% della popolazione italiana), in circa 5,3 milioni quelli che partecipano a riunioni di associazioni culturali (8,8%), in circa 9,5 milioni coloro che versano denaro a un'associazione (15,8%). Il tallone d'Achille del settore sembra essere la spiccata tendenza alla frammentazione, alla disorganizzazione, alla scarsa capacita' di fare sistema, di fare sintesi sul piano della rappresentanza.