Roberto Spazzali, docente di Didattica della Storia all’Università di Trieste, è tra i protagonisti del rinnovamento degli studi storici sulle foibe e l’esodo dall’Istria, Fiume e Dalmazia, argomenti sui quali ha scritto diversi testi. In occasione del Giorno del ricordo, gli abbiamo rivolto alcune domande.
E' senz'altro merito della ricerca storica aver portato alla ribalta un episodio della nostra storia, quello delle foibe, a lungo rimasto nell'oblio. Quali sono stati i motivi del silenzio?
La ricerca storica ha avuto un ruolo fondamentale nel ricostruire il complesso quadro di avvenimenti e fatti che hanno contraddistinto la storia del cosiddetto confine orientale italiano. In passato se n'era occupata la pubblicistica facendo leva più su elementi emotivi e meno su quelli storici. Da vent'anni a questa parte, grazie alla pressoché completa disponibilità degli archivi, è stato possibile ricostruire quei fatti anche se, a causa del tempo trascorso, sono mancate diverse testimonianze in grado di superare alcune reticenze. Il prolungato silenzio ha diverse motivazioni: una volontà politica nel passato di non intaccare i buoni rapporti italo-jugoslavi; il silenzio davanti alle responsabilità dello Stato italiano in merito alla sua condotta nella Venezia Giulia dal 1918 al 1945; il silenzio degli storici davanti le gravi responsabilità del partito comunista italiano nell'avere favorito i disegni annessionistici jugoslavi. Insomma pesava una ingombrante eredità del passato che nessuno nel dopoguerra intendeva rivendicare.
Dall'istituzione del "Giorno del ricordo" è mutata, secondo lei, la conoscenza a livello diffuso dei fatti di quell'epoca? C'è stato un effettivo lavoro di divulgazione, o più spesso tentativi di strumentalizzazione?
Certamente è mutata la percezione. Almeno si sa che cosa è successo nella Venezia Giulia tra guerra e dopoguerra. Mi pare che la scuola italiana abbia ben recepito l'esigenza di conoscere quel pezzo di storia. Pezzo di storia che può essere utilizzato come strumento per comprendere fatti analoghi accaduti nello stesso periodo e in tempi più recenti, in altre parte d'Europa. C'è un'ampia divulgazione con prodotti di diverso valore e qualità di cui oggi è difficile tenere il conto. Però come in tutte le iniziative "memorialistiche" prevale la circostanza commemorativa e un po' di speculazione commerciale. Per quanto riguarda la strumentalizzazione essa è frutto del malinteso politico: penso che cercare giustificazioni ad atti di violenza dimostrati oppure minimizzare le pressioni esercitate sulle popolazioni per indurre all'abbandono della loro terra non hanno alcun valore. Però in Italia ci sono ancora ristretti ambienti in cui si esercita una nostalgia ideologica fuori dal tempo.
A partire da quanto oggi sappiamo, considerando che resta una ferita ancora aperta l'esodo di tanta popolazione dall'Istria, Fiume e Dalmazia, e che quest'anno si celebrano i 150 anni dell'Unità d'Italia, come si collocano quegli eventi nella costruzione di una storia comune?
Bisogna collocare quelle vicende nella storia della nazione italiana. Per gli italiani della Venezia Giulia, dell'Istria, di Fiume e delle Dalmazia essere italiano era, e lo è ancora, non così scontato come possa apparire ad uno sguardo superficiale: è un'italianità intesa come una scelta culturale e morale, un'identità che non è data dall'origine biologica ma da un senso di appartenenza. Mi auguro che nelle mostre e nelle celebrazioni lo si dica ricordando anche quanti "italiani così" contribuirono al Risorgimento, all'Unità nazionale e alla Resistenza che è stata il secondo Risorgimento italiano. (R. M.)