Crisi politiche e immigrazione


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La spinta demografica del Nord Africa

Intervista a Gustavo De Santis, Università di Firenze profughi_nord_africa_296

di Valerio Ruggiero

La profonda crisi che scuote la sponda meridionale del Mediterraneo fa rimbalzare in Europa l’allerta immigrati. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ipotizza l’arrivo sulle coste italiane di cinquantamila persone dal Nord Africa, in aggiunta alle settemila circa già sbarcate.

Ben più allarmanti erano i numeri diffusi in precedenza da altre fonti, che arrivavano a parlare di oltre un milione di immigrati africani presenti in Libia e in teoria pronti a fuggire verso nord in caso di collasso del regime di Tripoli. Televideo ha chiesto a Gustavo De Santis, Professore di Demografia all’Università di Firenze e promotore del sito www.neodemos.it, se lo sfaldamento dei regimi in Tunisia, Egitto e Libia non produca in realtà soltanto un’accelerazione di un fenomeno migratorio previsto da tempo.

“Sì e no. I fenomeni demografici hanno un andamento lento (per lo meno: rispetto ai tempi con cui siamo abituati a ragionare normalmente). Diciamo che l'unità di tempo più congeniale potrebbe essere di circa 30 anni, che corrisponde alla distanza che mediamente separa i genitori dai figli (o distanza intergenerazionale). Orbene, rispetto a questa unità di misura, la forte crescita demografica del recente passato africano ha prodotto molte nascite negli ultimi anni che adesso, una ventina di anni dopo, si traduce in una "anormalmente" forte presenza di ventenni, che cercano sbocchi lavorativi. Non è facile trovarli sul mercato locale, e quindi una parte della pressione demografica si traduce in emigrazioni.

Quindi, il potenziale delle emigrazioni è in gran parte già scritto nella storia del passato. Su questa base, però, si inseriscono poi gli "accidenti" locali: crisi politiche, o atmosferiche, o di altra natura possono scatenare il fenomeno, che allora si esalata e si concentra in poco tempo, anziché diluirsi su una scala temporale più lunga. O, nei casi più fortunati, essere in parte riassorbito da una robusta crescita locale, urbana e economica: in questo caso, le emigrazioni internazionali restano, ma assumono un ruolo relativamente meno importante, e anche meno esplosivo, e quindi apparentemente meno rilevante per i media e per l'opinione pubblica”.

Potranno avere successo, dal punto di vista demografico, le politiche europee di contenimento dell’immigrazione dalle aree interessate dalla crisi?

“Come scrive Livi Bacci, ad esempio su www.neodemos.it, credo che si debbano distinguere più piani. Vi è l'emergenza di breve periodo: e qui si tratta di un intervento umanitario, né più né meno importante di quello che si riserva per le popolazioni colpite da calamità naturali. La differenza è che qui non si tratta (solo) di mandare tende, viveri e medicine, ma anche di accogliere profughi. Non credo che un paese ricco possa sottrarsi al dovere di dare una mano, soprattutto quando in condizioni di bisogno si trovano popolazioni povere, e nostre vicine di casa.

Poi, separatamente, c'è la questione di una porta più o meno aperta all'accoglienza in pianta (quasi) stabile di un certo numero di immigrati. Qui, non ho la ricetta magica. Ma tendo a pensare che un paese come il nostro abbia bisogno di immigrati: soprattutto di qui ai prossimi diciamo 40 anni, la nostra struttura per età tenderà a essere particolarmente distorta: i tanti nati del baby boom degli anni 60, oggi 50enni, diventeranno vecchi, e saranno sostituiti sul mercato del lavoro da generazioni molto meno numerose: diciamo circa della metà, o poco più. Le pressioni sul sistema previdenziale, su quello sanitario e su quello dell'assistenza anche a lungo termine saranno formidabili.

E la presenza di una buona quota di immigrati stranieri (non lontana dai 300 mila arrivi netti all'anno che ci hanno caratterizzati negli ultimi tempi) contribuirà a alleviare il problema. Alleviare, non risolvere: per tante cose dovremo attivarci noi (a cominciare da un robusto allungamento degli anni di lavoro), ma colpevolmente non lo stiamo facendo. E, beninteso, l'immigrazione è una potenzialità che andrebbe saputa gestire: ma puntando fortissimamente all'integrazione, non all'esclusione. Incidentalmente, una volta integrati (es. con regolare permesso di soggiorno e prospettive di diventare italiani), gli stranieri "si comportano" meglio di noi: delinquono meno, vanno meno spesso in ospedale o dal dottore, lavorano di più, ... Insomma, L'Italia ne ha bisogno, e avrebbe tanto da guadagnare da un'oculata gestione dei flussi di ingresso”.