Un 8 marzo "speciale"


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Mediterraneo, Italia

Il messaggio che arriva dal mare v

di Rita Piccolini

Parla Randa Adel Achmawi, giornalista egiziana di Al Hayat (Il Cairo): ”Nella rivoluzione in Egitto le donne hanno avuto e hanno un ruolo di protagonismo”. L’applauso da parte delle donne presenti scatta spontaneo. C’è emozione. La collega egiziana ha gli occhi lucidi.

La ribellione contro regimi autoritari trentennali dilaga sulle coste nordafricane e coinvolge i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo: la Tunisia e la Libia, innanzi tutto, ma segnali importanti che spingono verso il rinnovamento e una maggiore democrazia arrivano anche dall’Algeria e dal Marocco. Le notizie sono a volte esaltanti, più spesso drammatiche. Ci sono tanti morti. La ribellione è diffusa, la repressione, soprattutto in Libia, è feroce. Ci si interroga in Occidente sugli sviluppi di questa ventata di libertà, sul cosa accadrà dopo, ma soprattutto si assiste attoniti a una rivolta per noi osservatori inaspettata e ci si scopre avidi di informazioni e di testimonianze dirette. Per questo le parole della collega egiziana colpiscono e danno un sapore forte, diverso, drammatico e autentico a questo otto marzo 2011.

“Sono fiera di essere a Roma -continua Randa- provo felicità perché contro la tirannia emergono i valori più nobili, più importanti e vi porto lo sguardo delle donne egiziane su questi valori che hanno dato anima alla rivoluzione. Le donne hanno partecipato a livello paritario alla lotta per il cambiamento… Vi annuncio che l’otto marzo ci saranno un milione di donne in piazza al Cairo. Tutte e tutti siamo coinvolti, donne, uomini, giovani, vecchi. Quello che sta accadendo in Egitto è il compimento di tutte le nostre aspettative in termini interreligiosi e intergenerazionali”.

Siamo a Palazzo Valentini a Roma, è il 5 marzo. L’occasione per questo importante incontro è stata fornita dall’Associazione Stampa Romana, Dipartimento Diritti e Pari Opportunità. Il titolo è emblematico:”Cronache migranti. Donne fuori dai luoghi comuni”. E’ la prima Convention internazionale delle reti indipendenti di giornaliste con ottica di genere e delle associazioni mediterranee. L’obiettivo è quello di approfondire e proporre interventi e azioni positive sulla condizione lavorativa delle giornaliste e sulle questioni relative al modo di trattare l’immagine femminile nei media. E’ la prima iniziativa di una “100 giorni” dedicata alle donne. L’esigenza è nata dalla necessità di favorire uno scambio attivo tra il sindacato dei giornalisti e la società civile, per promuovere un terreno comune di confronto su tutti i temi sensibili della professione e della specificità femminile. Ci sono prima di tutto le iniziative da proporre contro il precariato e la disoccupazione (un problema ovviamente trasversale), ma c’è anche da affrontare il tema della circolazione di notizie che riguardano soprattutto le donne e la loro visibilità su tutti i temi oggetto di dibattito politico e sociale ignorati però dai media. C’è in primo luogo da contestare la comune rappresentazione del femminile, soprattutto in tv, oppressa da stereotipi e luoghi comuni. L’incontro si avvale della collaborazione della Red Mediterania, nata qualche anno fa a Barcellona, che ha messo in rete le diverse esperienze di giornaliste dell’area mediterranea che da anni si battono per una diversa qualità delle notizie relative alle donne.

Sono presenti giornaliste della sponda Sud del Mediterraneo, teatro delle rivoluzioni in atto. Raccontano di rivolte contro regimi e oppressioni, descrivono la drammaticità della vita in zone povere del mondo che spinge le popolazioni alla ribellione. E comunicano soprattutto il coraggio delle donne, che sono la metà della popolazione, e la loro dignità di persone che combattono per la sopravvivenza della propria famiglia, del proprio popolo e per i diritti di ognuno. Donne protagoniste quindi, non solo vittime. E’ un bel segnale per tutte le donne, dà speranza a chi vive nelle “evolute” società occidentali, in cui si è costrette per lo più a “giocare in difesa”.

Nelle nostre città le donne sono più che mai ancora vittime di violenza sessuale, e lo sono ancor più nel chiuso della propria abitazione. Dobbiamo sorvegliare e custodire le nostre figlie, per le quali si sognava un futuro di piena libertà e felicità. La violenza passa anche attraverso le immagini femminili che i media, soprattutto la televisione, continuano a imporre: femmine più che mai oggetto sessuale, ammiccanti, provocanti nel solleticare gli appetiti maschili, degradate, umiliate, messe sotto le scrivanie (come in una celebre trasmissione televisiva), indicate alle ragazzine come modelli vincenti, da imitare, al contrario delle donne che osano criticare questo uso dell’immagine femminile definite “bacchettone”, moraliste, invidiose e per di più brutte! Certo brutte, perché altrimenti queste donne userebbero il loro corpo invece di criticare le altre, sottintende con perfidia l’insulto. E poi la cronaca di ogni giorno, che continua a sbatterci in faccia omicidi efferati, di inaudita crudeltà, per lo più ai danni di giovanissime, spesso bambine.

Interviene Adele Cambria e invita le presenti a una riflessione sui delitti degli ultimi mesi: Sarah, Yara, le gemelline svizzere. Nel primo caso c’è l’arcaica dominanza del maschio, figlio di una cultura contadina primitiva, e la gelosia tra donne, acuita dall’ossessione del comparire in televisione e, presumibilmente, dall’omertà familiare. La vittima, una quindicenne bionda e esile, soltanto a causa della sua acerba e incolpevole avvenenza avrebbe scatenato, soltanto per fatto di esistere, il male assoluto intorno a sé. Yara invece è una ragazzina studiosa, studentessa modello dalle Orsoline e ginnasta esemplare. Incarna tutto ciò che è considerato buono e sano per i nostri adolescenti. Vive in una comunità tranquilla, operosa e benestante. Ma viene lo stesso uccisa in modo orribile. Viene incolpato per primo un immigrato, che poi risulterà del tutto estraneo alla tragica vicenda, e si comincia a temere che il “mostro” sia parte integrante della piccola comunità. Infine le gemelline. Due angioletti biondi che il padre fa scomparire, frustrato e depresso, “novello Medeo” che sacrifica le figlie per vendicarsi di una moglie autonoma, intelligente razionale, troppo per lui. Di questo purtroppo siamo costrette a parlare sui nostri mezzi di informazione,tutti i giorni.

Poi, ancora ,delle donne disoccupate, o che a pari condizioni di lavoro guadagnano meno dei colleghi uomini; delle donne che in politica contano ancora pochissimo, così come nelle grandi aziende sia pubbliche che private; di quelle schiave, costrette a prostituirsi per vivere; di quelle che da bambine subiscono la più crudele delle punizioni:la mutilazione genitale, la forma di dominio più atroce che il potere maschile abbia mai potuto concepire per sottomettere le donne; di quelle che più degli uomini sono soggette a mobbing, o a stalking ( i termini in inglese sono quasi intraducibili perché nascono nelle società occidentali sempre più sofisticate e avanzate tecnologicamente, in cui la sopraffazione si esprime in modi e con accenti nuovi). E infine quelle che grazie all’avvenenza del loro corpo cercano o fanno effettivamente carriera, vittime a loro volta di una mentalità maschilista basata ancora sul potere e sul disprezzo della dignità della persona (una storia che si ripete immutabile da millenni e per questo sempre più insopportabile). Non c’è da stare allegre! C’è poco da festeggiare, anche se quest’anno la Festa internazionale della donna compie 100 anni. Festa delle vittime quindi? Giorno in cui ricordare al potere maschile a quante ingiustizie, soprusi, violenze, le donne sono sottoposte? Sì certo, ma non solo.

Le risposte e gli esempi positivi, quelli carichi di speranza, ci arrivano questa volta dal mare, dal nostro mare, dalla sponda opposta da cui partono i barconi con i profughi, con le immigrate che vengono a tenere in ordine le nostre case, o a prendersi cura dei nostri figli o dei nostri anziani, e che ci raccontano ancora una volta che le donne sanno lottare, spesso fuggono, ma il più delle volte scelgono coraggiosamente di restare. Certo poi dovranno affrontare i problemi della parità dei diritti, dovranno fare i conti con le loro millenarie culture, i condizionamenti sociali, la violenza del mondo maschile che detesta accettare la loro indipendenza e libertà, ma intanto affermano senza esitazioni che ribellarsi contro le tirannie è giusto e in questo, con i loro compagni, vivono una situazione di assoluta parità.