di Emanuela Gialli
Delle donne si parla spesso in termini negativi o in relazione a quello di negativo che loro accade. Ma nel Maghreb sembra siano tra i protagonisti di questa che possiamo definire anche “rivoluzione culturale” in corso. E’ così?
Direi che stanno partecipando a queste rivoluzioni, che vediamo tutti. Però quello che mi preoccupa è il fatto che tutte queste donne, che stanno dando il loro contributo, si rendano anche conto che tocca a loro cambiare il loro status, la loro situazione, i loro propri diritti . Dunque un certo grado di egoismo, tra virgolette, femminile è essenziale per far avanzare la situazione in questi Paesi.
Che vuol dire “più egoiste”? Cosa intendi?
Le donne, come soggetto di diritti, è sempre messo al secondo posto, nel mondo arabo. Come se ci fosse una classifica, rispetto ad altre priorità, come la democrazia, l’economia. E invece le cose devono procedere in parallelo. Non si possono concepire i diritti delle donne, e la loro dignità, come un “lusso” o una “seconda tappa” di un vero cambiamento sociale, culturale o politico di un Paese. Mentre stanno lottando per un cambiamento, le donne devono anche pensare a loro stesse, a far cambiare anche la loro situazione in questi Paesi.
Dunque non ritieni che le donne nel Maghreb siano un po’ la “testa di ponte” nell’avanzata dei diritti, diciamo una sorta di avanguardia degli uomini? Ancora no, per il momento?
Per il momento no. E’ stato così in alcuni Paesi, come la Tunisia. Sappiamo che ad un certo punto della loro storia, queste donne hanno avuto dei diritti, che in tanti altri Paesi del Terzo Mondo non sono stati ancora riconosciuti. La Tunisia è un’eccezione. E però negli ultimi anni persino qui si è notato un “andare indietro” e una presenza più forte dell’integralismo religioso che sta imponendo, in un modo quasi spontaneo, una situazione di inferiorità della donna. Quindi, non direi che le donne lì stiano vivendo il loro periodo di gloria.A Roma si è svolta proprio in questi giorni, una Convention di giornaliste italiane e dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Volevo esserci, ma purtroppo all’ultimo momento mi sono dovuta cancellare.
Le giornaliste dell’Africa mediterranea pensano che le donne in questi ultimi tempi siano più protagoniste, rispetto al passato, dei cambiamenti (in effetti è un po’ azzardato parlare di rivoluzione culturale) in corso. Tu ritieni dunque che non sia così, a leggere bene i fatti?
No. Io non lo vedo finora. Lo vedrò quando ci sarà realmente una situazione di parità in questi Paesi tra uomini e donne. La lotta contro i dittatori è una cosa fantastica e sono molto fiera di quello che è successo. Ma ci vuole ancora tempo perché questo si traduca in una posizione migliore per le donne. Dobbiamo aspettare.
Le donne possiamo dire che sono immobilizzate ancora da questa influenza dell’integralismo islamico. Dalla quale però in che modo, Joumana, potrebbero sottrarsi?
Io sento tante intellettuali del Marocco, dell’Egitto, parlare di femminismo islamico. Per me è una contraddizione. Non esiste il femminismo islamico, così come non esiste il femminismo cristiano. La parità della donna dovrebbe realizzarsi in un Paese laico, dove uomini e donne sono uguali cittadini ed hanno gli stessi diritti. Ogni considerazione degli esseri umani, dal punto di vista religioso, soprattutto quando si parla delle tre religioni monoteistiche, che sono patriarcali e, a mio avviso, misogine, non possono portare all’uguaglianza per la donna. Tocca alle donne lottare adesso per uno Stato laico nei loro Paesi.
Come interpreti il fenomeno migratorio, che si è innescato rispetto agli eventi nel Maghreb. Sembra che siano per la maggior parte uomini.
Ma è sempre stato così, soprattutto per quanto riguarda la migrazione dal Terzo mondo. Sono gli uomini che lasciano il loro Paese, per cercare lavoro, per mandare soldi alla famiglia, per preparare l’arrivo del resto della famiglia. Non c’è niente di strano, mi pare una cosa abbastanza logica, ma molto emblematica dello stato della donna: le donne sono quelle che seguono.
E’ una visione moto realistica, la tua, rispetto a quello che si legge e si sente in questo periodo.
Mi rendo conto che in questo periodo c’è uno stato di “estasi mediatica”, però dobbiamo avere il coraggio di guardare le cose così come sono e di essere critici e scettici. Ho comunque la grande speranza che tutto ciò porti a cambiare la situazione della donna, ma finora non ho visto delle prove di questo. Ho sentito solo discorsi, ma non ho visto azioni. Quando vedrò le azioni, potrò fare una valutazione migliore.
Le donne sono, secondo te, nella loro essenza, uguali, comunque e dovunque o le differenze culturali e della civiltà nella quale si formano, fanno la differenza e le rendono differenti?
Sono uguali dapperttutto, tra loro e nei confronti degli uomini. Certamente l’educazione e la loro formazione culturale potrebbero influenzare il modo in cui loro stesse si vedono e si concepiscono. E la prospettiva, a questo livello, è molto importante, perché può condizionare il comportamento, la fiducia in sé stesse. Ma la donna in qualsiasi parte del mondo si trovi deve credere in se stessa, nella sua forza, come punto di partenza. Non come cosa da ottenere, ma da difendere.Tu sei interprete del mondo libanese, che viene considerato più evoluto rispetto ad altre realtà arabo-islamiche. Il magazine che hai pubblicato e di cui sei responsabile, che si chiama Jasad, corpo, ha scandalizzato la tua società. Quanto la donna è corpo e quanto è mente e anima?
Rispondo alla prima affermazione. Certo, il Libano non è come l’Arabia Saudita, però purtroppo è solo una differenza superficiale. C’è solo una “illusione di libertà”. In Libano, la metà delle donne apparentemente è più emancipata, perché può guidare, andare a ballare fino alle 4 del mattino e vestirsi come vuole. Ma a livello di leggi è sempre una donna discriminata. E ci sono tanti esempi che dimostrano che la donna in Libano è un cittadino di secondo grado. Per me, è solo una libertà illusoria e molto pericolosa, perché può distrarre la donna libanese, che si crede più fortunata rispetto alle altre donne arabe. E’ solo una trappola che la sta distraendo, allontanando, da una vera lotta per i suoi diritti. Poi, a proposito della mia rivista, vorrei dire che Jasad non riflette solo sul corpo delle donne, ma anche su quello dell’uomo. E’ una riflessione sul corpo in tutte le sue dimensioni e tematiche. E per quanto riguarda la distinzione tra spirito, anima, eccetera, io penso che insieme al corpo formano un “Tutto” e fino a quando non li pensiamo così, fino a quando continueremo ad insistere su questa separazione tra corpo e anima, non possiamo veramente rispettare i nostri corpi e considerarli una vera parte della nostra esistenza.
Hai parlato di libertà illusoria delle donne libanesi, un concetto che si può adattare anche alle donne italiane. Sei d’accordo?
Credimi, a volte, quando sono in Italia non so se sono in Libano o in Italia. Tra l’altro, io mi sento italiana di cuore e sono stata orgogliosa di vedere tante donne manifestare a febbraio. Per me, questo dovrebbe essere il punto di partenza per smettere di trattare le donne, o di guardarle, solo come un “pezzo di carne”.
Ci puoi regalare una tua poesia, che meglio descrive la condizione e il ruolo delle donne in questo momento?
Ho una poesia che si chiama “Donna” e che a questo punto mi piacerebbe condividere.
Joumana Haddad recita 'Donna' (registrazione audio via telefono da Riad)