Eppure si teme un ridimensionamento


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Guidonia, unica eccellenza italiana. Ma perché c’è un solo centro così?

La qualità che funziona, il primato della dignità del paziente n

A dimostrazione del fatto che la politica (di destra e di sinistra) sottostimi enormemente l’entità reale del problema, vi è la mancata presenza nel nostro Paese di strutture sanitarie che si occupino esclusivamente di ogni malato di Alzheimer e di tutte le fasi della malattia. Con un’unica eccezione, il Centro Alzheimer dell’Italian Hospital Group di Guidonia (Roma), diretto dal dottor Gabriele Carbone.

Qui ci si dedica – come dovrebbe essere anche altrove, “almeno con un centro in ogni Asl”, afferma Carbone – esclusivamente all'Alzheimer. Ci sono l’Unità valutativa (l’Uva), l’assistenza domiciliare, il centro diurno, i ricoveri ordinari e quelli di sollievo. Il paziente viene preso in carico dall’insorgenza della malattia e per tutto il suo decorso. Per ogni piano “fisico” dei quattro in cui si articola la struttura e che corrispondono, in linea di massima, al grado della patologia, ci sono il terapista occupazionale, il fisioterapista, il maestro d’arte, l’assistente sociale, lo psicologo. Gli ospiti sono sempre nel numero massimo che consenta un intervento specifico ed efficace per tutti, intorno ai 180. Tantissimi per il sito, niente per le necessità diffuse. “Grazie ad una mirata attività riabilitativa e all’informazione e formazione dei familiari – specifica Carbone – l’ottanta per cento dei pazienti ricoverati nei reparti di degenza rientra in famiglia”. Il Centro Alzheimer di Guidonia effettua ben 400 visite ambulatoriali al mese e circa 20 nuovi ricoveri al mese nei 60 posti di degenza.

Una giornata al Centro Alzheimer dell’Italian Hospital Group
Difficile descrivere quello che avviene ogni giorno nel centro diurno nel quale i pazienti trascorrono tutte le mattine dal lunedì al venerdì. Occorrerebbe andare a vedere di persona cosa realmente si può fare per una patologia così difficile e rendersi conto che, per quanto rari, esistono casi di buona sanità. Continua, in questo caso, non occasionale. E un “giretto” in loco sarebbe consigliabile per politici e amministratori pubblici. Per poi magari valutare attentamente e prendere decisioni consequenziali.

Entri e li trovi in gruppo, gli anziani, in un ambiente spazioso, ma diviso in settori ampiamente intercomunicanti. Si fanno ‘prendere’ dai terapisti in ragionamenti connessi con la stretta attualità. Passaggi semplici e coinvolgenti. Hai l’influenza, come te ne sei accorto? Ma perché viene la febbre, come la misuri? E allora che stagione può essere questa? E quale è il modo migliore per curarsi? Salgono confronto e coinvolgimento, si cercano conferme alle proprie affermazioni, lo stimolo è costante e gradevole, la partecipazione è attiva anche con movimenti che, con la scusa di essere necessari alla comprensione, diventano un importante esercizio fisico “da seduti”.

Finiti i ”ragionamenti”, ci si divide per partecipare alle attività, tutte studiate e seguite da esperti sotto la guida dello psicologo. C’è chi cucina i dolci che si mangeranno a pranzo (meglio se in base alle ricette imparate “da giovani”); chi va a scrivere (va bene anche a penna) nella redazione del giornalino e ne escono testi talora di rara poesia, sempre indicatori di una personalità e motivo per mirare le terapie; chi va al laboratorio artistico, chi in quello teatrale e i risultati delle rappresentazioni sono un autentico vanto per i coordinatori e sorprendenti per gli spettatori (“Imparare e memoria e metterci del proprio aiuta a rendere stabile la patologia”, spiega Beatrice Benet, responsabile del laboratorio teatrale). Una volta alla settimana c’è il cineforum e i pazienti hanno più volte fatto capire le loro preferenze rispetto ai soggetti: i bambini, gli anziani, i buoni sentimenti. Grande partecipazione, miglioramento dell’apprendimento e indicazioni terapeutiche molto significative anche dai giochi di società come le associazioni di lettere, il riconoscimento dei suoni e dei rumori. Sono molto importanti, in una struttura così articolata, la professionalità del personale (sanitario e non), l’equilibrio, il coinvolgimento, l’interazione costante degli operatori, all’occorrenza la loro intercambiabilità. Tutte caratteristiche che appaiono evidenti. A guardare questo meritevole lavoro si resta incantati. E ci si domanda, viste le voci allarmanti che girano: “Ma davvero si vuole ‘derubricare’ questo luogo a Rsa”? E, di seguito: non andrebbe piuttosto fatto ogni sforzo di razionalizzazione della spesa sanitaria per moltiplicarle, piuttosto che chiuderle, queste strutture? E i risultati ottenuti non significano niente?

I malati si raccontano. E anche i familiari
Al Centro Alzheimer i malati sono considerati persone. Si fa tutto l’umanamente possibile per garantire loro la dignità e che abbiano il massimo benessere consentito dal loro stato fisico. Dovrebbe essere cosa ovvia, ma non sempre è così, in tutte le strutture sanitarie.

E, nella luce che resta in mezzo al buio che si è aperto nella loro mente, i malati di Alzheimer si raccontano. E si aprono forse più delle persone ‘sane’. Come Maddalena, 88 anni, da 8 qui tutte le mattine. Legge e scrive, guarda la tv, va a messa tutti i giorni all’interno del Centro. “Quando mio marito, qualche volta, dava ‘uno sguardo’ a una bella ragazza, poi mi tranquillizzava dicendo: ma tanto come te non c’è nessuna! Esagerato, gli dicevo io, anche se ero sempre contenta del complimento”. Racconta di come lo ha conosciuto: “Facevamo il giro intorno al convento dei cappuccini, che sta in cima ad un colle, noi ragazze. I maschietti dietro di noi a chiederci di fare una pausa per non stancarci. Noi tiravamo sempre dritto, nonostante le tentazioni. Una volta, un gruppo di noi stava in casa di una mia cugina per la festa di Pasquetta e mi vedo entrare lui dalla finestra e buttarmi le braccia al collo. Così non si fa, gli dissi, e lo cacciai. Ma quanto mi piacque! E le amiche a dirmi: non essere così cattiva, quello ti vuole bene davvero. Avevano ragione. L’ho sposato e ci siamo sempre amati alla follia”.

O come Vincenzo, vedovo da tanti anni, una moglie paralizzata dopo il parto che ha curato con amore, una vita passata a fare lavori duri per permettere al figlio, che ha tirato su da solo, di entrare in Aeronautica, un carattere protettivo che manifesta anche nelle rappresentazioni teatrali (un San Giuseppe devotissimo alla sua Madonna). “Mi sono sempre impegnato in tante cose, non ho avuto tempo per le distrazioni. Mi avrebbe fatto bene trovarmi un’altra compagna invece che restare da solo? Questa possibilità c’è stata, ma ho avuto l’impressione che lei puntasse al portafoglio. Che non era nemmeno così pieno…”.

Chi si preoccupa per il futuro della struttura e dei malati di Alzheimer è una donna che porta ogni mattina il suo marito, Orazio. Qui Liliana, professoressa in pensione, ha trovato l’unica risposta alla sua disperazione. Racconta: “Eravamo in Egitto, due anni fa. In vacanza. Tutto filava liscio. Io mi ero addormentata nella stanza. Sento bussare alla porta. Era Orazio. Uscito senza che me ne accorgessi, e mai si era allontanato senza avvertirmi, era tornato dicendomi che si era perso ed aveva fatto fatica a ritrovare la stanza e la chiave. Guardandolo, ascoltandolo, capii che qualcosa non andava.

Al ritorno gli ho fatto fare una tac. La diagnosi del neurologo mi ha raggelata. Ha presente l’ ’Urlo di Munch’? Ecco, quella fu la mia reazione. Non se ne esce, pensai. Chi mi aiuta? Dei miei due figli uno lavora fuori regione, un altro all’estero. Come posso assistere mio marito 24 ore su 24? Già è difficile ottenere quei due soldi dell’accompagno e io ho una pensione bassa. E via stress, rabbia, pressione alta, la vita stava diventando impossibile. Mi sono messa a cercare su internet. Ho conosciuto questo Centro. Io ci provo, mi sono detta. E’ abbastanza recuperabile, mi fu risposto, se lo si lascia senza stimoli può solo peggiorare, può venire qui. Ora Orazio ha ripreso a fare le battute ed è tornato spiritoso anche quando sta a casa. E io sto uscendo dal tunnel. La malattia resta seria e ci vuole comunque impegno per affrontarla. Io lo farò, non mi tiro certo indietro. Ma la situazione ora è proprio un’altra. E lo vorrebbero chiudere questo Centro? Altri cento, mille, dovrebbero aprirne. Possibile che non se ne rendano conto?. Eppure l’Alzheimer non è una malattia così rara e può colpire tutti e quando meno te lo aspetti. Ci pensino”.

Liliana è decisa, andrà avanti nell’interesse di tutti. E ha già avviato una raccolta di firme in difesa delle strutture che assistono i malati e aiutano i loro familiari e caregiver.