La "no fly zone", o zona di interdizione al volo, viene di solito applicata in contesti militari ma è prassi comune di molti Paesi per proteggere monumenti, edifici pubblici, centrali energetiche o altri siti sensibili; tali zone proibite - di norma designate da enti civili - sono debitamente segnalate su tutte le carte di navigazione aerea.
Gli esempi più noti di applicazione della "no-fly zone" riguardano la Bosnia e l'Iraq, le cui regioni settentrionali e meridionali vennero proibite all'aeronautica militare di Baghdad fra il 1992 e il 2003, con l'obiettivo di evitare possibili attacchi aerei contro le minoranze curde o le zone a maggioranza sciita. Un obiettivo simile è all'origine della possibile applicazione di una "no fly zone" in Libia, dopo il voto favorevole del Consiglio di Sicurezza dell'Onu sulla risoluzione 1973.
Lo stabilire una zona di interdizione al volo in territorio ostile richiede tuttavia come operazione preliminare la distruzione dei sistemi radar e delle difese antiaeree, il che la rende un'operazione militare a tutti gli effetti; inoltre, è necessaria una sorveglianza radar dell'area interessata e la possibilità di pattugliamento ed intercettazione aeree o missilistiche che impongano il rispetto del divieto: condizioni queste ultime relativamente facili da rispettare sul proprio territorio nazionale, molto meno in operazioni all'estero dove occorrono basi terrestri o navali ad hoc.