di E. G.
Gli avvocati Mario Schembri, Enzo Pacia e Luisa Bordeaux, componenti del collegio di difesa dei coniugi Romano nel processo per la strage di Erba, hanno chiesto per entrambi l’assoluzione per non aver commesso il fatto o, in subordine, una perizia psichiatrica. “E’ giusto che, qualora la corte non accolga la mia richiesta di assoluzione, si accerti se erano consapevoli”. “Avete tutti gli elementi per sospettare che in queste due persone vi sia un forte disturbo della personalità”. Ecco come i difensori di Olindo e Rosa hanno cercato nell’udienza del 24 novembre di smontare l’accusa, arrivando a formulare per i giudici, togati e non, della Corte d’Assise di Como, una richiesta che ha stupito tutti, gli addetti ai lavori, ma anche l’opinione pubblica.
“Vi porterò in un viaggio nell’errore”. Così, parafrasando il “viaggio nell’orrore”, di cui aveva parlato nelle battute iniziali della sua requisitoria il pubblico ministero Astori, uno degli avvocati dei coniugi Romano, Enzo Pacia, ha introdotto l’arringa di difesa, nell’udienza di lunedì 24 novembre. Pacia, difensore di Rosa Bazzi, subito all’attacco, ha parlato di indagini “dilettantesche”, caratterizzate da “errori grossolani”. Come non aver usato il luminol subito sull’auto degli indagati o non aver mai trovato del sangue sull’uscio della loro porta. E poi, i tempi: “In tre minuti avrebbero colpito 44 volte, poi si sarebbero cambiati e rivestiti, avrebbero fatto dei sacchi per liberarsi degli abiti sporchi e sarebbero riusciti ad uscire da via Diaz senza farsi notare. Neanche le forze speciali ci sarebbero riuscite”.
E a proposito della macchia di una delle vittime trovata nell’auto dei coniugi Romano, secondo l’avvocato Pacia, “può essere stata portata dai carabinieri. La macchina è stata lavata e la macchia non doveva essere così concentrata”.
Pacia ha più volte voluto instillare nella Corte il dubbio sull’equilibrio psichico di Rosa, per arrivare a sostenere l’infondatezza della sua confessione, ma anche di quella di Olindo. “Rosa ha paura che facciano del male al marito. Ha paura della tortura. Ecco perché confessa. E’ una sorta di gara a chi dei due ammette più cose per salvare l’altro”.
E l’avvocato Fabio Schembri, difensore di Olindo, rincara la dose: nella sua confessione, davanti ai pm, l’imputato ha commesso 243 errori. In particolare, Olindo raccontò di aver inferto, quattro, cinque, sei colpi a una delle quattro vittime, la vicina di casa, Valeria Cherubini, mentre l’autopsia dimostrò che la donna fu colpita 43 volte. “Siamo stati derisi, attaccati, vilipesi – ha detto Schembri – nei manuali di retorica quello che è stato fatto da pm e parti civili si chiama ‘attacco ad hominem’, ne parla Schopenhauer: attacca, delegittima e avrai ragione”.
Non convince, inoltre, la testimonianza di Mario Frigerio, unico sopravvissuto all’eccidio, marito della vicina, diventato il principale teste dell’accusa. Per Schembri, nell’interrogatorio del 15 dicembre 2006, quattro giorni dopo la strage, Frigerio non fece il nome di Olindo Romano: “Frigerio, parlando del suo aggressore, disse ‘non lo conosco, non è di qui’. Prima è uno sconosciuto, poi diventa Olindo Romano”.
Sempre Fabio Schembri si è soffermato sui testimoni, mai ammessi in dibattimento, che riferirono di aver visto la sera della strage due uomini nei pressi di via Diaz. I testimoni sono un abitante della zona e un immigrato, un tunisino, con piccoli precedenti penali, scomparso subito dopo essersi spontaneamente presentato ai Carabinieri di Erba per raccontare di aver visto tre uomini che discutevano animatamente davanti al cancello della cascina, dove è avvenuta la strage, di averli visti allontanarsi frettolosamente e di aver sentito poco prima delle urla. “Ma – ha sbottato Schembri – si è deciso di non tener conto della sua testimonianza, perché non attendibile”. Secondo la difesa, la pista alternativa sarebbe stata la vendetta nei confronti di Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna e padre di Youssef. E, secondo la difesa, Valeria Cherubini sarebbe stata finita mentre erano in atto i primi soccorsi, da parte dei vicini, che si accorsero dell’incendio. In quel momento, l’omicida sarebbe scappato attraverso i tetti.
Nella foto, Fabio Schembri, uno dei difensori dei Romano, durante l'arringa