di Rodolfo Fellini
Per i suoi sostenitori, è vittima di una persecuzione giudiziaria orchestrata dai rivali politici. Per i suoi detrattori, è un personaggio scomodo, corrotto e pericoloso, inadatto a guidare il Sudafrica alla vigilia di quella grande vetrina, continentale e mondiale, che saranno i Mondiali di Calcio 2010. Jacob Zuma, l’uomo forte del partito che fu di Nelson Mandela, affronta una nuova avventura davanti ai magistrati con la speranza che sia l’ultima, e che stavolta gli ostacoli che lo separano dalla presidenza del Paese possano essere rimossi definitivamente.
E’ la terza volta che Zuma compare in aula con l’accusa di corruzione. Nell’ottobre 2005, la prima indagine relativa a una fornitura d’armi; nel maggio 2006, la Corte decide per il non luogo a procedere. Nel dicembre 2007, nuova inchiesta per altri casi di presunta corruzione, concussione ed evasione fiscale. Zuma presenta ricorso e chiede che il procedimento sia dichiarato nullo e incostituzionale; nel settembre 2008, il ricorso viene accolto perché il giudice ritiene le accuse “motivate politicamente”. Ma cinque giorni dopo, la Procura generale presenta un controricorso che inasprisce le tensioni, già forti, tra magistratura e dirigenti dell’African National Congress (Anc), il partito di cui Zuma è ora segretario e che domina incontrastato la vita politica del Paese.
Tra il 2005 e il 2006, Zuma è al centro di un’altra vicenda giudiziaria: la figlia di un amico, sieropositiva, lo accusa per stupro, ma il Tribunale lo assolve, giudicando il rapporto consensuale. Zuma, che all’epoca guidava il Consiglio sudafricano per l’Aids, fa parlare di sé quando, in aula, sostiene che per proteggersi dal virus HIV non aveva usato il preservativo ma si era “fatto una doccia”.