di Raffaella Miliacca
Un grande panama in testa, circondato da fotografi, fa il suo ingresso in una sala affollata Luis Sepùlveda, al Salone del Libro per incontrare i lettori. Comincia dicendo che la letteratura non gli ha cambiato la vita: “Quando scrivo sono immensamente felice. Sono fortunato ad avere tanti lettori, ma questo non mi cambia, resto sempre un cittadino”. Nato in Cile nel 1949, approdato alla notorietà con “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, lo scrittore intreccia il racconto della sua vita personale e della sua carriera con la storia del suo Paese.
Il Cile è sempre stato un Paese speciale, spiega. La storia d’America ha qualcosa di comune, il Cile è sempre l’eccezione. Qui non sono arrivati i conquistatori spagnoli e portoghesi per cercare oro e argento, ma una terra fertile. La conquista ha avuto un altro senso, un’emigrazione di gente povera che si trasferiva per coltivare. Questa particolarità, dice Sepùlveda, ha reso la nostra una società sempre legata al sogno di fare un Paese migliore. Poi, i ricordi si fanno personali. “Ho sempre avuto grandi onori, molti riconoscimenti da tanti Paesi e università. Ma il più grande onore è stato quando, a 21 anni, mi hanno comunicato che per meriti personali andavo a integrare la guardia personale di Allende. E’ stato il migliore uomo del Cile, esempio di umanità, intelligenza, saggezza”. Il golpe militare del ’73 abbatte il governo democratico e per Sepùlveda, come per tanti altri, comincia il lungo esilio. Mozambico, Angola, Germania, Francia, ma in tutto il mondo con una sola idea: “Cominciare il giorno dicendo ‘buenos dias’, leggere giornali in spagnolo, tornare alla lingua materna. E da 14 anni comincio così”. Infatti dal 1996 vive in Spagna.
La presenza in sala di tre bambini che in mano hanno “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” è l’occasione per spiegare come è nato quel libro. Non era nei miei piani di scrittore, dice Sepùlveda, che all’epoca viveva in Germania. Era andato in biblioteca a prendere dei libri per i suoi figli. Tornando a casa si è fermato in un bar perché era brutto tempo e ha cominciato a leggerli. “Non erano testi scritti nel rispetto dei bambini, ma erano scritti per piccoli cretini, al limite della manipolazione. Così ho cominciato a scrivere la Gabbianella perché con i bambini volevo condividere dei valori, come la solidarietà, il rispetto del diverso, e la risposta dei piccoli lettori è la stessa in tutto il mondo. E’ un’esperienza molto personale è mi piace sapere che è compresa”.
Il relatore gli chiede cosa vede quando si guarda allo specchio e lui risponde: “Vedo la faccia di un uomo decente, non mi vergogno di nulla. E’ una bella soddisfazione”. Infine, dice di essere arrivato alla letteratura per amore. A 14 anni sognava di diventare calciatore, giocava nei tornei di quartiere. Poi, a un certo punto, arriva una ragazza bellissima, Gloria. Lui va alla sua festa di compleanno e per regalo le porta la cosa più preziosa che ha. Lei apre il pacchetto e trova una foto che accoglie con una certa riluttanza. E’ la foto della squadra del Cile e ci sono segnati i nomi di tutti i calciatori. “Non mi piace il calcio”, dice la ragazza. “Cosa ti piace?”, chiede deluso il giovane Sepùlveda. “La poesia”, risponde lei. “Sono tornato a casa e ho cominciato a leggere poesie e mi è piaciuto. Ho scoperto Neruda, ho iniziato a scrivere poesie e mi è piaciuta la scrittura. Ora non so se Gloria sia responsabile di un acquisto per la letteratura, ma è senz’altro responsabile di una perdita per il calcio cileno”.